Dsk, la procura si arrende “Niente prove, sarà  liberato”

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NEW YORK – Erano esattamente le 12 e 06 minuti del 14 maggio quando il passepartout di Ophelia la cameriera aprì la porta della suite 2806 al Sofitel di Manhattan. Sarà  probabilmente un altro mezzogiorno, oggi, 6 luglio, quando, dopo un incontro fra difesa e accusa, Dominque Strauss-Kahn sarà  liberato e prosciolto. Dalla vergogna allo champagne: 53 giorni per il lieto fine di una storia senza letizia.
Ripercorriamola, in tutta la sua sordida sgradevolezza e nella sua irrisolvibile ambiguità  morale. È in quel mezzogiorno del 14 maggio che Ophelia, con la carta magnetica registrata dal computer dell’hotel, entra nella stanza nella quale lei e Dominque Strauss-Kahn sprofonderanno insieme, spalancando l’eterno enigma di un uomo tra i più potenti al mondo che rischia tutto per un frettoloso orgasmo.
Si deve partire da una certezza e da un silenzio. La certezza è che fra quei due, Monsieur Teflòn, come lo hanno soprannominato, e la immigrata legalmente clandestina, ci sia stato un rapporto sessuale, provato dall’abbondante «materiale biologico». Il silenzio è quello di Dsk. Non ha mai parlato. Non esiste una versione di Strauss-Kahn, finora.
L’incontro nella suite dura esattamente 22 minuti. Alle 12 e 28, quando il computer centrale registra la riapertura e la chiusura della porta è tutto finito. Dietro l’uscio, un uomo di 62 anni a un passo dalla presidenza della Repubblica francese e un’africana di 32 anni con una storia di dichiarazioni false e di amicizie sinistre, hanno avuto un rapporto. Lei era già  entrata e uscita da varie stanze a quel piano, come il “cervellone” conferma, per riassettare. Testimonia che dal bagno vede uscire uno sconosciuto, il direttore del Fondo Monetario Internazionale. È nudo. Mentre lei si scusa e si volta per uscire, lui la afferra da dietro, la gira, la spinge verso la stanza da letto (è una suite a più locali) la butta a terra, le fa male alla spalla ledendo i legamenti, le smaglia il collant, la brutalizza, la ferisce nelle parte intime (conferma dalla visita ginecologica al pronto soccorso) e infine la costringe a inginocchiarsi davanti a lui, per concludere l’operazione. Alle 12 e 28 Ophelia esce dalla stanza mentre lui si riveste in fretta, chiude le valigie, si lava i denti (tracce di pasta dentifricia saranno ancora sulle sue labbra al momento dell’arresto) chiama il facchino e se ne va di corsa a raggiungere la figlia al ristorante. Tanto in fretta da dimenticare il telefonino, che più tardi chiamerà  per riavere.
Da qui, si spalanca la fossa dei serpenti-domande. Rapporto mercenario finito male per disaccordo di soldi? Violenza carnale, reato sempre, non importa se la vittima sia una prostituta o una Goretti? Seduzione degenerata in un’escalation di atti sessuali non graditi da lei? Entrano in scena i complottisti. È la solita «trappola del miele», la seduzione per la distruzione, ordita dall’immancabile Cia, o dai servizi segreti dell’odiato Sarkozy, lo dice anche Putin, l’ex kaghebista che se intende? «No – spiega un “operativo” della Cia alla tv nazionale Cbs – un piano troppo confuso, dilettantesco, con troppi elementi sfuggenti e incontrollabili. E comunque – aggiunge – non sarebbe mai andato a buon fine senza la collaborazione del target, del bersaglio». Eh già . Ma alle 12 e 35, subito dopo il dramma nella suite, il nostro racconto si fa strano.
Ophelia torna in una stanza vuota allo stesso piano, la 2820 dove era già  stata quella mattina. Non si rifugia in una sgabuzzino tremante, come dirà  alla polizia. Da quella stanza telefona a un guianese come lei, a Blake Diallo, del caffè “2115” ad Harlem. Diallo dirà  che Ophelia era sconvolta, che non sapeva che fare e lui le consigliò di denunciare subito tutto al manager di turno, cosa che lei fece. «Ma qui gli ospiti possono fare quello che vogliono al personale?» chiede la donna al manager. Dal Sofitel, mentre Dsk si avviava in limousine nera verso il volo Air France al Kennedy alle ore 15 e 30 del 14, lei è portata all’ospedale, per la visita fiscale. La squadra Crimini Speciali ascolta il referto, le crede. Acciuffa Dsk già  imbarcato. L’enormità  del “perpetrator”, del sospetto, abbaglia poliziotti, magistrati e media. Alle 16 e 40, sei ore dopo l’incontro con Ophelia, è in guardina.
Comincia il calvario di Monsier non più Teflon. Ma nelle stesse ore, comincia anche la demolizione della sua accusatrice, in parallelo. Il giorno 17 maggio, Dsk è rinchiuso in carcere. Alle 13 e 40 dello stesso giorno, Ophelia telefona a un amico detenuto in Arizona per spaccio, per discutere come possa monetizzare quei minuti nella suite con Dsk. Viene intercettata dalla Procura. L’Immigrazione scopre che anche lei, come migliaia di immigrati, ha mentito nella propria domanda d’asilo, descrivendo stupri di soldataglie mercenarie. L’Irs, il fisco, appura facilmente, il 18 maggio, che ha barato nella sua dichiarazione dei redditi, ottenendo detrazioni per una figlia che non è sua.
Attenzione: è il 18 maggio. È lo stesso giorno delle dimissioni di Dsk dal Fondo Monetario. Cyrus Vance, il procuratore dello Stato, sa già  che Ophelia mente, che è una vittima, forse, ma una teste di pastafrolla, nel momento in cui Dsk si dimette ed entra nella sua gabbia dorata a Manhattan.
Siamo in luglio, il 3, domenica, Monsier Teflon, sempre affiancato dalla generosissima e tollerantissima moglie Anne Sinclair, «felice per l’innocenza di Dominique» stappa champagne dopo una cena da “Scalinatella”, ristorante italiano, con piatti al tartufo e Brunello, conto finale 700 dollari secondo il proprietario, Luigi Russo. Ignorando, anzi controquerelando, un’altra denuncia per stupro, questa volta da una giornalista francese bianchissima di carnagione. Il carnefice è diventato la vittima, assediato da bugiarde seduttrici.
Nei 22 minuti del 14 maggio, resterà  invece invischiata per sempre Ophelia, che sarà  sicuramente deportata se non dovrà  prima scontare anni, per tutto quello che una Procura furibonda e umiliata deciderà  di scaricarle addosso. Per il Presidente antigraffio nessun reato. Soltanto una questione di comportamenti indegni. Ma questa, come noi sappiamo bene, è un’altra storia.


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