Mafia e Cosa nostra viste da Oxford
Cosa Nostra, le ’ ndrine calabresi e le famiglie di camorra hanno piantato le loro basi nei territori dove minori sono le barriere istituzionali e dove, inversamente, sono maggiori le opportunità che hanno le associazioni criminali di offrire i loro «servizi» . Tutto ciò può apparire scontato ma, in realtà , è assai controverso e difficile dare una valutazione obiettiva tanto delle ragioni che spingono gli uomini d’onore a mutare il loro raggio d’azione quanto delle ragioni del successo o dell’insuccesso delle loro attività nelle aree di «colonizzazione mafiosa» .
Se i boss escono dalle trincee storiche va compreso il quadro che ne favorisce il nuovo insediamento. Le domande di fondo sono: quando un’organizzazione criminale, allontanandosi dal luogo di incubazione, riesce ad affermarsi in un altro contesto sociale? Esistono condizioni che favoriscono questi processi degenerativi? Federico Varese, professore all’Università di Oxford, è un sociologo che ama suffragare le sue tesi con le ricerche sul campo (in Italia, in Russia, in America, in Cina) e ripudia le banali generalizzazioni. E’ facile sostenere che Cosa Nostra, la ’ ndrangheta e la camorra risalgono la corrente del denaro per fermarsi alla fonte dove è più elevato il flusso di capitale. In verità , la globalizzazione criminale non è una scelta compiuta a tavolino dai capi cosca in forza di «una strategia razionale volta a colonizzare nuovi mercati» , i capi cosca «si limitano a fare del loro meglio» in una situazione che non hanno indicato ma che hanno accettato.
La globalizzazione criminale, sostiene Varese nel suo bellissimo saggio Mafie in movimento (Einaudi, pp. 300, e 19), è piuttosto «la conseguenza della repressione dello Stato e di faide interne alle cosche» . Il boss se ne va perché incarcerato o perché al soggiorno obbligato o scappa perché inseguito dalle bande nemiche. Di suo non lascerebbe mai il contesto nel quale si è imposto. Allora, se sono costretti, gli uomini d’onore «preferiscono trasferirsi dove hanno già dei contatti, dei parenti, degli amici fidati» . E’ come se piccole cellule disperse si unissero per provare a formare aggregati potenzialmente più pericolosi. Affinché «il trapianto» di un clan in un nuovo quadro sociale e culturale produca ricadute di illegalità diffusa occorrono però ulteriori condizioni. E qui la domanda è: «La presenza di mafiosi è sufficiente al radicamento?»
L’analisi ci dice che i fattori capaci di giocare a favore dell’esportazione mafiosa sono parecchi. Due su tutti. Il primo è l’assenza di concorrenza criminale. Un gruppo di Cosa Nostra o di camorra o di ’ ndrangheta non si colloca in spazi che sono già occupati dai rivali. Il secondo chiama in causa le istituzioni. Le debolezza dello Stato a livello locale e l’incapacità delle amministrazioni di regolare i mercati e i diritti di proprietà permettono «l’emergere di una domanda extralegale di tutela» . Laddove è carente il governo dell’economia la mafia si ritaglia un ruolo nell’offerta di «servizi» : manodopera in nero, protezione, finanziamento di capitali. E’ così che acquista potere la cosca. «La domanda di servizi mafiosi nasce dalle trasformazioni dell’economia» .
Se lo Stato e l’amministrazione coprono la domanda di tutela da parte della società , i «servizi» offerti dai gruppi criminali non hanno possibilità d’esistere. Il territorio ben governato respinge il mafioso. La presenza della criminalità al Nord è il termometro che misura la febbre delle istituzioni nelle regioni a reddito elevato. Quando l’amministrazione pubblica è gravemente ammalata gli uomini d’onore escono dall’ombra e dall’isolamento. E il loro radicamento si consolida. Come un virus che non trova ostacoli e diffonde l’epidemia.
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