80 miliardi di rigore senza crescita

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Perciò – l’ha sottolineato anche Napolitano – tutto procede secondo i ritmi prestabiliti anche se il peso della manovra si scaricherà  sui primi due anni della nuova legislatura e del governo che ne sarà  l’espressione.
Il Presidente della Repubblica ha anche osservato che decidere oggi quello che dovrà  avvenire tra due-tre anni vincola la responsabilità  dell’attuale maggioranza. È un auspicio che tenta di stabilire un collegamento e una coerenza di comportamenti tra la maggioranza attuale e quella della nuova legislatura, quale che ne sarà  la composizione e il colore; ma è un auspicio scritto sull’acqua perché, fermo restando il fine del pareggio del bilancio, i modi per arrivarci riguarderanno il futuro Parlamento, il futuro governo ed anche il futuro Presidente della Repubblica. Il futuro è sulle ginocchia di Giove, ammesso che Giove da qualche parte ci sia.
Resta il fatto che nel quinquennio 2009-2014 le manovre decise da Tremonti, dal governo e dalla maggioranza ammontano nel complesso a 80 miliardi pagati ovviamente dai contribuenti. Bisogna a questo punto chiedersi a che cosa è servito un prelievo di risorse così imponente ed anche quali sono i ceti che ne hanno sopportato il maggior peso.
Prima però di rispondere a questi due interrogativi è opportuno ricordare che, per quanto riguarda la manovra di 40 miliardi che avverrà  nel biennio 2013-2014, è stata finora indicata la copertura per 18 miliardi (Sanità , sfoltimento delle detrazioni, congelamento degli organici e degli stipendi del pubblico impiego, tagli di contributi alle Regioni e ai Comuni). Per oltre 22 miliardi la copertura non è ancora nota ma dovrà  esserlo prima che il decreto (ma meglio sarebbe un disegno di legge) venga trasmesso al Parlamento.
È opportuno altresì ricordare che contemporaneamente al decreto (o disegno di legge) concernente la manovra Tremonti presenterà  anche una legge-delega per la riforma del sistema fiscale. Si tratta di due operazioni strettamente connesse che incideranno profondamente sull’economia reale ed anche sulla formazione delle risorse e sulla loro distribuzione.
Fa molto bene il Presidente della Repubblica a raccomandare condivisione politica su un fagotto di decisioni e di normative grosso come una montagna; purtroppo anche questa sua raccomandazione, come l’altra già  citata, è scritta sull’acqua perché sia Tremonti sia Berlusconi sono disposti soltanto ad accettare che l’opposizione voti le loro decisioni senza tuttavia modificarle perché, come ha detto in proposito il ministro dell’Economia, “quattro deve restare quattro”. E sono anche decisi – Tremonti e Berlusconi – a chiedere la fiducia se lo riterranno necessario, per cui l’esortazione di Napolitano non avrà  alcun seguito.
Purtroppo non avrà  seguito neppure l’osservazione che il Presidente della Repubblica ha formulato dopo aver firmato il decreto sui rifiuti di Napoli. Calderoli gli ha già  risposto sprezzantemente a nome della Lega. La situazione in casa leghista deve essere molto seria se Bossi e i suoi colonnelli trattano con questa disinvoltura i suggerimenti del Capo dello Stato.
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Consideriamo ora i due interrogativi che ci siamo posti: quali sono gli obiettivi che la manovra voleva realizzare e chi ne ha sopportato il peso maggiore. Con due necessarie premesse: l’intera operazione è avvenuta nel corso della grande crisi internazionale che ha investito il mondo intero; la suddetta operazione non contempla però le manovre che nel frattempo sono state compiute dagli enti locali con le poche imposte delle quali essi autonomamente dispongono e con i debiti che hanno autonomamente contratto, da aggiungere al debito pubblico che riguarda direttamente lo Stato. Ed ecco gli obiettivi che avrebbero dovuto essere raggiunti.
Un obiettivo politico che governo e maggioranza si erano posti fin dal 2001 (anzi fin dal 1994) fu la riduzione del carico fiscale. Ma questo impegno era una falsa e irrealizzabile promessa e tale si è dimostrata. Tale resterà  anche quando nel 2014 la riforma fiscale sarà  entrata in vigore.
Bisognava migliorare i servizi, statali e locali. Ma i servizi non sono migliorati, semmai sono peggiorati.
Bisognava ridurre il debito pubblico. Il debito pubblico è aumentato, attualmente viaggia al 120 per cento del Pil.
Bisognava creare una rete di protezione che desse un senso al lavoro flessibile e impedisse che la flessibilità  si trasformasse in precariato. Questa rete non è stata costruita.
Bisognava ridurre le diseguaglianze sociali, ma le disuguaglianze sono aumentate.
Bisognava accrescere la produttività  e la competitività  del sistema. Sono entrambe fortemente peggiorate.
Bisognava bloccare la spesa corrente la quale è aumentata negli ultimi vent’anni ad un ritmo medio del 2 per cento annuo. Bisognava far crescere gli investimenti e quindi la spesa in conto capitale. È avvenuto esattamente il contrario: la spesa corrente ha continuato nel suo ritmo di crescita del 2 per cento e quella in conto capitale è praticamente vicino allo zero.
Bisognava sfoltire e semplificare la burocrazia e liberalizzare le procedure che governano l’imprenditorialità . Non c’è stata alcuna semplificazione nonostante il falò di leggi abolite dal ministro Calderoli; nessuno ha mai saputo quali carte abbia bruciato quel folcloristico ministro. Sta di fatto che l’obiettivo semplificatorio viene riproposto quasi una volta al mese da alcuni anni. Se ne parla ancora nel progetto di riforma fiscale e se ne è parlato nei recenti provvedimenti sullo sviluppo. Insomma è un mantra ricorrente da vent’anni e mai realizzato. Sarebbe più serio non parlarne più. Doveva essere – la semplificazione burocratica – parte integrante del federalismo, ma anche il federalismo è rimasto allo stato larvale. Perfino i leghisti si sono ormai accorti che con questi chiari di luna il federalismo è diventato una parola vuota.
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Tuttavia quegli 80 miliardi sono stati prelevati. Sono serviti a far diminuire il rapporto tra spese correnti e Pil al netto degli interessi sul debito, ma nel frattempo l’onere di quegli interessi è cresciuto. L’altro obiettivo di quegli 80 miliardi è come sappiamo l’azzeramento del disavanzo di bilancio. Dovrebbe avvenire entro il 2014. Incrociamo le dita.
Si aggiunga che i costi della politica non saranno toccati ora ma se ne parlerà  anche per essi nella prossima legislatura.
Questo è il consuntivo. Nient’affatto esaltante.
L’onere della manovra ha pesato finora interamente sul lavoro dipendente e sui pensionati. Nel frattempo l’evasione fiscale è fortemente aumentata. La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle entrate hanno quest’anno recuperato 10 miliardi dall’evasione ma nel frattempo l’ammontare complessivo dell’evasione è aumentato di 30 miliardi (cifre Istat, Banca d’Italia, Ministero del Tesoro): recuperano dieci e perdono trenta.
Ci siamo scordati di qualche cosa? Sì, ci siamo scordati della crescita. Sia l’Europa, sia la Bce, sia il Fondo monetario internazionale ci hanno chiesto rigore e rilancio della crescita. Il rigore c’è stato e continuerà , ma di crescita nemmeno a parlarne: non c’è stata e non si prevede che ci sarà , l’encefalogramma dello sviluppo è piatto da vent’anni e tale resterà  fino al 2014. Berlusconi voleva, Bossi voleva, ma mettevano una condizione: niente mani nelle tasche. Di chi? Dei ceti abbienti. Tremonti li ha fatti contenti, la crescita aspetterà .
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Nelle ultime ore i complimenti a Tremonti si sono sprecati. L’hanno ringraziato tutti: i ministri, il presidente del Consiglio, i dirigenti del suo partito, i giornali di famiglia, i cugini, anche quelli in quarto grado e oltre. Le autorità  europee. Ma di che cosa?
Il debito sovrano è sempre esposto a tutti i venti. Il rendimento dei Btp è arrivato al 5 per cento, record storico. Il differenziale dei titoli italiani rispetto al Bund tedesco viaggia oltre quota 200. Le pensioni minime sia d’anzianità  che di vecchiaia sono ferme a 500 euro mensili. I redditi sotto ai 30 mila euro sono tartassati, quelli sopra ai 70 mila sono favoriti dalla riforma fiscale. Il peso delle imposte sarà  spostato dalle persone ai consumi e a i servizi.
Per sostenere i massicci rinnovi di titoli pubblici in scadenza, il Tesoro premerà  sulle banche affinché sottoscrivano a fermo. Proprio per questo il ministro dell’Economia vuole che la Banca d’Italia diventi una “struttura servente” del Tesoro.
Di che cosa dobbiamo dunque ringraziare Tremonti? Francamente non so rispondere. Mi si potrà  dire che poteva andare peggio, ma anche al peggio c’è un limite e a me sembra sia stato toccato.

Post scriptum. Qualche giorno fa il giornale Il Fatto quotidiano ha inventato un “disparere” tra me e il collega Massimo Giannini, vicedirettore ed editorialista del nostro giornale, a proposito delle nostre valutazioni sul ministro dell’Economia. Informo i colleghi del Fatto quotidiano che noi di Repubblica lavoriamo in squadra, fermo restando che non ci sarebbe niente di strano se ci fossero pareri diversi in un libero giornale. Nella fattispecie però quei pareri diversi non ci sono stati. Giannini ha avuto una conversazione con Tremonti e ne ha fedelmente riferito il contenuto con notizie esclusive e importanti sulla manovra. Poi ha scritto alcune considerazioni critiche su quanto il ministro gli aveva comunicato. Due giorni dopo ho scritto un articolo sulla Banca d’Italia che è stato letto, vagliato, messo in pagina e titolato da Giannini. A Repubblica noi lavoriamo così e ne siamo molto contenti.


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