I trucchi dell’accordo Grecia-banche
Due erano le condizioni poste dall’Europa per finanziare il nuovo piano di salvataggio della Grecia: che il Parlamento approvasse le misure di austerità concordate; e che il debito in scadenza nei prossimi anni fosse ristrutturato, senza però che questo fosse considerato un default. L’austerità è stata approvata. La proposta di rinnovo “volontario” del debito avanzato delle banche francesi, le più esposte, e patrocinata personalmente da Sarkozy, è già stata accolta dalle banche tedesche; le altre seguiranno. Così, i mercati finanziari hanno brindato.
Il rinnovo volontario del debito greco, però, è una ristrutturazione che, come l’Isola di Peter Pan, non c’è. Serve a soddisfare la richiesta della Germania che i nuovi prestiti ufficiali alla Grecia non siano usati per rimborsare i 64 miliardi di bond in scadenza di qui al 2014; perché finirebbero nelle tasche degli investitori privati che li detengono. Di qui, la richiesta che questi si accollino parte dell’onere del salvataggio; ovvero che partecipino a una ristrutturazione. Che però non deve apparire per quello che è, onde evitare perdite alle banche: è il diktat della Banca Centrale Europea che vuole scongiurare il rischio di una crisi del sistema bancario. Così, la proposta di rinnovo, stando alle notizie di stampa, appare come un gioco di prestigio finanziario-contabile che fa sparire una ristrutturazione vera (abbatte il costo del debito greco e lo consolida per 30 anni). Molto abile. Ma il trucco c’è, e si vede.
Secondo il piano, le banche che detengono debito pubblico in scadenza entro il 2014 si impegnano “volontariamente” a investirne il 70% in titoli emessi da un veicolo societario, il quale a sua volta investe il ricavato per il 50% in nuove obbligazioni greche a 30 anni, che pagano un rendimento inferiore a quello di mercato; e il 20% in uno zero coupon (quindi rimborsa solo il capitale), sempre a 30 anni emesso presumibilmente dallo Stato francese. Il debito greco in scadenza viene rimborsato integralmente: formalmente, quindi, non c’è default. Ogni 100 euro di debito che scade, le banche ne incassano 30 e i rimanenti 70 li usano per comprare le obbligazioni del veicolo. Queste ultime hanno il capitale garantito dallo zero coupon emesso dalla Francia: ai tassi attuali di mercato, infatti, 20 euro investiti nello zero coupon rimborsano alla scadenza dopo 30 anni esattamente 70 euro. Le banche possono pertanto immobilizzare le obbligazioni del veicolo al costo fino alla scadenza, senza rischio di accantonamenti. Il veicolo investe i rimanenti 50 euro in nuovi titoli di Stato greci a 30 anni, a un tasso indicativo di circa 5,5%. La Grecia riesce così rifinanziare il proprio debito in scadenza (sul mercato non troverebbe investitori) e lo consolida per 30 anni a un tasso molto inferiore a quello che dovrebbe pagare: oggi, oltre il 15% per il debito decennale. I tassi pagati sul nuovo debito greco vengono utilizzati dal veicolo per finanziare le cedole delle obbligazioni: è l’unico rischio Grecia che rimane a carico delle banche; ben poca cosa.
Non è scontato che la magia riesca. Due i problemi. Primo, lo schema del rinnovo volontario assomiglia a quello previsto da molte procedure fallimentari (anche il nostro 182-bis): se una maggioranza di creditori si accorda per la ristrutturazione, l’accordo è valido purché preveda che chi non aderisce sia pagato in toto. Nel caso greco, le banche sopportano il costo del consolidamento, a tassi non di mercato; gli altri investitori, invece, incassano subito il rimborso integrale, ed escono dalla partita. Per quanto “selective”, é pur sempre default. Con il rischio che venga riconosciuto tale. Si è detto che lo schema assomiglia ai Brady Bonds, usati per l’America Latina negli anni ‘90. Non è vero: là erano i paesi debitori a garantire il capitale con gli zero coupon; qui sono i creditori.
Secondo, non si risolve il problema della sostenibilità del debito greco, che dipende dal programma di privatizzazioni, concordato per contribuire al rimborso del debito in scadenza: circa 50 miliardi in 4 anni; così massiccio da risultare poco credibile. E dal rigoroso rispetto delle misure di austerità , che a lungo andare potrebbero risultare insostenibili e addirittura più costose di un default. Ho fatto notare su queste colonne che dal picco del 2008 il Pil greco è già caduto del 10%, a cui aggiungere un altro 4% nel 2011, e forse un ulteriore declino nel 2012. Siamo vicini al record dell’Argentina (18%) nei tre anni di cambio fisso col dollaro che hanno preceduto il default. Ma la crescita argentina (come quella italiana dal 1993) ha beneficiato di una forte svalutazione, opzione non disponibile alla Grecia. Rimane dunque la probabilità che il Paese si trovi in un prossimo futuro nuovamente a rischio di default.
È dunque fondata la congettura che lo scopo principale del rinnovo volontario sia di guadagnare tempo, per concentrare il debito greco nella mani di poche banche, Bce e Fondo Europeo di Stabilità , al fine di gestire in modo ordinato, e senza rischi di contagio, un eventuale futuro default. Per i mercati, dunque, si tratterebbe solo dell’intervallo fra i due atti della tragedia greca. Per veder calare il sipario c’è ancora da aspettare.
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