Federmeccanica dissente da Fiat, ma vuole ricucire
Oltre che intollerabile per chiunque pensi che fare sindacato significhi rappresentare gli interessi di persone in carne ossa, registrarne bisogni e volontà , per poi verificare se i risultati di una trattativa corrispondono o meno al mandato ricevuto.
Ma risulta inadeguato persino per lo scopo ufficioso: modificare le relazioni industriali in modo tale da permettere alla Fiat «modello Pomigliano» di restar dentro Confindustria. Dopo le prime 48 ore di vivaci botta e risposta tra i diversi protagonisti del «patto», se ne è avuta una dimostrazione anche in occasione dell’assemblea di Federmeccanica – ieri a Trieste – di cui fin qui Fiat è stata ovviamente magna pars. Il presidente degli imprenditori metalmeccanici, Pierluigi Ceccardi, ha però spiegato alla platea e alla stampa che «non condivido» la lettera di Sergio Marchionne indirizzata alla Marcegaglia, per dire che non riteneva «sufficiente» l’accordo per garantire la legalità del «modello Pomigliano». Per lui infatti,«martedì sera è stato firmato un accordo storico e oggi non possiamo non dirci soddisfatti».
Il ministro Maurizio Sacconi ha per ora sgombrato il campo dalle ipotesi di un intervento legislativo (una legge ad aziendam) per conferire retroattività alle nuove regole (essendo precedenti, i contratti-capestro di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco potrebbero essere annullati dal giudice, cui ha fatto ricorso la Fiom). Naturalmente per dire che lui preferisce «più contratti e meno leggi», in modo da tener lontani i giudici dai rapporti di lavoro. Deve essere per questo che, nelle pieghe della manovra economica del governo, è stato inserito un comma che cancella la gratuità delle cause di lavoro. Un modo per «scoraggiare» i ricorsi e costringere alla resa lavoratori che magari hanno mille ragioni, ma non altrettanti euro in tasca.
La situazione sembra dunque chiara: Confindustria, Cisl, Uil e Susanna Camusso – insieme al governo – difendono a spada tratta ma con argomentazioni diverse l’accordo del 28 giugno, «molto utile anche per le sigenze Fiat»; anche se la segreteria Cgil ha preferito ieri insistere sulla «definizione di una griglia di regole unitarie» che dovrebbero metter fine agli «accordi separati». Fuori da questa ricostruita e un po’ paradossale «unità nazionale» si colloca per un verso la stessa Fiat, che sa benissimo quanto stia rischiando – in tribunale, a Torino – con un «modello aziendale» che aggira la clausola sociale in caso di cessione d’azienda (Fiat ha «venduto» a se stessa) e mira a espellere dagli stabilimenti un solo sindacato, la Fiom.
Sul fronte diametralmente opposto si collocano proprio i metalmeccanici guidati da Maurizio Landini. Che ieri ha avuto almeno occasione di ironizzare: «la lettera di Marchionne ha fatto durare un accordo storico un solo giorno; capisco che è un problema…»
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