Firme false, una sentenza scuote il Piemonte

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Michele Giovine incombe. E continuerà  a farlo, come sempre. Il 16 luglio 2010 era tra il pubblico ad ascoltare i commenti di Roberto Cota e dei suoi alleati sulla decisione del Tar di imporre il riconteggio dei voti che avevano assegnato di stretta misura il governo del Piemonte al centrodestra. All’epoca era già  stato rinviato a giudizio per falso, con l’accusa di aver presentato 17 firme false dei suoi candidati, molti dei quali lo erano a loro insaputa. Con salomonica decisione il tribunale amministrativo aveva rinviato la decisione sul suo caso a un pronunciamento della giustizia civile. Ma gli astanti sapevano bene che il consigliere regionale, fondatore dei «Pensionati per Cota» rappresentava la parte più scabrosa di quella storia, dalla quale dipendevano le sorti della nuova amministrazione. Il neogovernatore e il segretario regionale pdl Enzo Ghigo evitarono con cura di fare il suo nome. Ma lui c’era.
Un appunto vivente, a futura memoria. Ieri mattina l’udienza non è durata più di venti minuti. La condanna era nell’aria. Quattro testi avevano ammesso di non aver mai firmato i documenti che attestavano la loro candidatura nella lista di Giovine, «Pensionati per Cota» . Altri dieci erano stati indagati per falso. I magistrati avevano messo una tagliola sulla strada dell’imputato, e non solo sulla sua, chiedendo al giudice un «atto indipendente» che dichiarasse «la falsità  dell’accettazione delle candidature della lista “Pensionati per Cota”» .
 Hanno avuto anche quello. La sentenza può far decadere la lista che consegnò a Cota una dote di 28.000 voti in elezioni vinte con uno scarto di appena 9.200 preferenze. Il prossimo 4 ottobre la Corte costituzionale dovrà  esprimersi sul ricorso dei legali di Mercedes Bresso, candidata sconfitta del centrosinistra, contro la sentenza del Tar che imponeva il passaggio dal tribunale civile. Se fosse accolto, la sorte del governo piemontese tornerebbe in mano al Tar, dove il verdetto di ieri peserebbe come un macigno. Giovine ha inserito il pilota automatico. «Decisione politica, questa è Torino, città  di toghe rosse» . In questi mesi si è dimostrato un convitato di pietra fedele e allineato.
Nello scorso aprile è stato decisivo per salvare la giunta dal voto sulla vicenda delle quote latte. Sei consiglieri del Popolo della Libertà  si erano astenuti, tirava aria di crisi. Arrivò il voto salvifico di Giovine. Quell’aria poco propizia alle sorti della giunta regionale non si è certo dissolta. Non è un caso che ieri il Pdl piemontese abbia fatto quadrato, almeno per una volta (Cota: «I miei voti sono veri e validi» ; Ghigo: «Non cambia l’esito delle ultime elezioni» ), mentre il Pd, che pure ha sempre snobbato i ricorsi della Bresso, carichi a testa bassa definendo «illegale» l’attuale governo regionale. Dire che la congiuntura non sia favorevole, significa ricorrere a un gentile eufemismo. Alle recenti Amministrative il centrodestra piemontese ha perso in tutti i Comuni con più di 15.000 abitanti, con la sanguinosa ferita di Novara, casa di Cota.
 Pochi giorni dopo è stata arrestata Caterina Ferrero, assessore alla Sanità . Oltre all’imbarazzo, la vicenda ha generato una discreta rissa per la successione tra Lega e Pdl. Adesso la condanna di Giovine, fonte di ulteriori tormenti, e di una delegittimazione strisciante. Attenti al Piemonte.


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