Rete Disarmo: “No a modifiche senza confronto della legge sul commercio di armi”

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“I sei commi dell’art. 16 della legge Comunitaria (già  approvata al Senato – ndr) che contengono il dispositivo in merito predisposto dall’esecutivo non definiscono in modo definito e rigoroso i principi e criteri direttivi che dovrebbero improntare la redazione del decreto legislativo conseguente, lasciando mano libera all’esecutivo di modificare, senza troppi paletti, la legge 185/90 sul commercio di armi” – spiega la nota della Rete Disarmo.

Insieme con la Tavola della Pace, la Rete Italiana per il Disarmo aveva già  posto all’attenzione lo scorso novembre, all’inizio dell’iter della legge Comunitaria, che ilGoverno ha deciso per la prima volta su una materia così delicata – che riguarda la politica estera e di sicurezza del Paese – di fare approvare al Parlamento una Legge Delega. “Sarà  quindi poi l’esecutivo a scrivere le norme sul commercio di armi sulla base delle poche indicazioni contenute nella proposta di legge Comunitaria attraverso un decreto legislativo. Senza alcuna trasparenza e senza nessun confronto in Parlamento” – sostengono le associazioni.

Rete Italiana per il Disarmo e le organizzazioni che la compongono esprimono “la propria contrarietà ” a questa proposta che in sordina e sotto il falso abito di passaggio ‘tecnico’permette al Governo una mano libera pericolosa sulle norme e i controlli delle esportazioni di armi: su questi temi un’approvazione senza un vero confronto nelle competenti sedi istituzionali è sicuramente un rischio per la democrazia e la sicurezza. Tanto più che i dati degli ultimi anni, desunti proprio dalle Relazioni al Parlamento che la trasparenza delle attuali norme impone al Governo, dimostrano come siano costantemente cresciuti i trasferimenti di armi italiane all’estero.

Rete Italiana per il Disarmo e gli Istituti di ricerca che la compongono hannoripetutamente denunciato come molte di queste armi “tricolori” siano state consegnate a paesi sotto embargo dell’Unione Europea e a paesi in stato di conflitto. “In questo senso valgano come esempio i trasferimenti degli anni 2005-9 verso paesi problematici come la Turchia per 1.483 milioni di euro (10,1% del totale), l’Arabia Saudita per 1.212 milioni euro (8,2%), gli Emirati Arabi Uniti con 682 milioni (4,6%), il Pakistan (648 milioni – 4,4%) e l’India (594 milioni – 4,0%) in costante conflitto fra loro; e poi il Qatar (2,2%), l’Oman (2,0%) e la stessa Libia di cui l’Italia è stata il primo fornitore europeo di armi che pure oggi è sotto attacco anche delle nostre forze armate” – commenta Giorgio Beretta di Unimondo e analista di Rete Disarmo. “Per non parlare dell’ultimo anno che ha visto come primi destinatari degli armamenti italiani il Nord Africa e Medio Oriente, cioè le aree di maggior tensione del pianeta”.

“Al regime di Gheddafi l’Italia ha poi fornito nel 2009 oltre 11mila tra fucili e pistole di natura anche militare, senza dover passare per alcuna autorizzazione all’export che non fosse un semplice nulla osta della Questura locale – aggiunge Francesco Vignarca coordinatore della Rete Disarmo. “Ciò proprio perché le armi leggere, di cui l’Italia è tra i massimi produttori, non ricadono sotto i controlli accurati della 185/90. Eppure ora si cerca di indebolire tale legislazione e non di rafforzarla tenendo sotto controllo anche le armi leggere e prevedendo pene per gli intermediari trafficanti, che ad oggi nel nostro paese non sono punibili”.

Le associazioni che fanno parte della Rete Italiana per il Disarmo chiedono al Governo “di stralciare l’articolo del disegno di legge che diminuirebbe controlli e la trasparenza sui trasferimenti armi con il rischio di esportare armi italiane in teatri di guerra e che siano utilizzate per commettere gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale”. Contemporaneamente la Rete e i suoi esperti si mettono a disposizione di Governo e Parlamento per un confronto che porti ad un miglioramento della legislazione di controllo dei trasferimenti internazionali di armi, anche nell’ottica del Trattato Internazionale su questo aspetto che è in discussione in sede ONU e che dovrebbe essere redatto ed approvato quest’anno. “L’Italia, con la sua grande qualificata esperienza derivante proprio dalla legge 185/90, dovrebbe essere in prima linea per aumentare gli standard di controllo di questo commercio problematico anche e soprattutto a livello internazionale” – conclude Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Archivio Disarmo.

Va ricordato che la Legge 185, approvata 9 luglio del 1990 con un’ampia maggioranza nel Parlamento italiano, ha definito “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”. Tale normativa è stata promulgata dopo cinque anni di intenso confronto parlamentare attraverso due legislature ed è stata fortemente richiesta e sostenuta da un ampio movimento della società  civile e dell’associazionismo laico e cattolico al seguito delle denunce, iniziate a partire dalla seconda metà  degli anni Ottanta, di diversi traffici e triangolazioni di armamenti da parte dell’Italia verso nazioni sotto embargo delle Nazioni Unite come il Sudafrica, verso paesi in conflitto come Iran e Iraq e verso diversi stati del Sud del mondo ai quali i governi italiani destinavano aiuti pubblici allo sviluppo.

Nel corso di questi venti anni la normativa ha già  visto alcune modifiche, soprattutto con la Legge 17 giugno 2003, n. 148 (Legge di Ratifica ed esecuzione dell’Accordo Quadro di Farnborough firmato il 27 luglio 2000), che – sebbene di iniziativa governativa – hanno visto comunque, dopo le pressioni delle associazioni, un confronto dell’esecutivo con le associazioni della società  civile che fin dagli anni Ottanta hanno promosso quella normativa e che nel corso di questi anni ne hanno attentamente monitorato l’applicazione attraverso pubblicazioni e ricerche. 


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