I ribelli: “Consegneremo Gheddafi all’Aja”
BRUXELLES – I ribelli libici si sono impegnati a consegnare Gheddafi, suo figlio e il capo dei servizi segreti del regime alla Corte penale internazionale. Lo ha riferito il procuratore generale della Corte, Luis Moreno-Ocampo, che ieri ha incontrato all’Aja Mohammed Al-Allagui, il ministro della Giustizia del Consiglio Nazionale di transizione che riunisce le forze anti – Gheddafi. Tuttavia, secondo Moreno-Ocampo, la soluzione al problema della cattura di Gheddafi e degli altri ricercati, potrebbe venire ancora prima dalla «cerchia prossima» del dittatore. «Il cerchio di persone che sta attorno a Gheddafi è la prima opzione per il suo arresto. Tocca a loro decidere se fanno parte del problema, con il rischio di essere incriminati, o se vogliono fare parte della soluzione».
Il mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità , spiccato lunedì contro i tre dirigenti libici, può essere eseguito dalle forze dell’ordine di qualsiasi Paese che aderisca alla Convenzione di Roma che ha dato vita alla Corte penale internazionale delle Nazioni Unite. Ma, secondo Ocampo, spetterebbe per prima alla Libia darne esecuzione.
Il procuratore generale ha anche annunciato di aver avviato due nuove inchieste a carico delle autorità del regime. La prima riguarda gli stupri che le milizie del raìs avrebbero compiuto nei centri di detenzione, aiutate anche da stimolanti sessuali che sarebbero stati forniti ai soldati dalle gerarchie libiche. La seconda inchiesta riguarda i tentativi di nascondere le prove di torture, omicidi e altri crimini contro l’umanità compiuti dalle forze pro-Gheddafi. Secondo Ocampo, comunque, la fine del dittatore è ormai prossima: « in due o tre mesi i giochi possono essere finiti».
Da parte sua, invece, la Nato pur plaudendo alla decisione di arrestare Gheddafi, non si considera coinvolta nell’esecuzione del mandato di cattura. «Il nostro compito è di proteggere la popolazione civile – ha spiegato ieri la portavoce dell’Alleanza – Il mandato di arresto tocca alle autorità competenti».
L’Alleanza, attraverso il generale canadese Charles Bouchard, che dirige le operazioni, ha anche ripetuto la volontà di mantenere alta la pressione militare sul regime respingendo dunque la proposta italiana di una tregua nei bombardamenti. «Le violenze contro i civili continuano e non penso che una riduzione delle operazioni in questa fase sarebbe opportuna», ha detto Bouchard.
La Nato, però, secondo quanto ha denunciato il segretario americano alla Difesa, Robert Gates, proverebbe crescenti difficoltà a far fronte all’onere dell’offensiva militare, soprattutto da parte dei Paesi europei. «Molti alleati non partecipano alle operazioni in Libia non perché non vogliano, ma semplicemente perché non ne hanno i mezzi», ha accusato Gates, che a fine settimana lascerà l’incarico all’ex capo della Cia Leon Panetta. Il segretario alla Difesa ritiene che gli europei debbano mettere in comune i mezzi di cui dispongono per consentire economie di scala, se vogliono evitare per la Nato «un avvenire oscuro»: «in Europa ci sono ancora due milioni di soldati, perché è così difficile trovarne 25 mila per una missione militare?».
Il presidente francese Sarkozy ha definito «ingiuste» le accuse di Gates. Ma le crescenti difficoltà che i Paesi europei impegnati in Libia stanno incontrando dimostrano che sul fondo il dirigente americano ha ragione. Una prova della penuria di mezzi di cui dispone l’Alleanza (se si esclude l’apporto degli Usa), è arrivata ieri dalla notizia che la Germania avrebbe offerto di mettere a disposizione della missione «bombe e altro materiale tecnologico» per bombardamenti di precisione. Il governo tedesco non ha votato la risoluzione Onu sulla Libia e non partecipa alle operazioni contro Gheddafi. Ma avrebbe accettato una richiesta della Nato di fornire materiale bellico che comincia a scarseggiare negli arsenali dei Paesi impegnati nelle operazioni. Un fatto che ha scatenato le critiche dei partiti di opposizione al governo di Angela Merkel.
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