Le quote rosa pallido

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E con 6.500 interviste in ventuno Paesi ha cercato di sviluppare una foto aggiornata del pianeta più interessante del presente e del prossimo futuro, l’universo femminile, ha chiesto insomma alle donne di giudicare le donne. Interessante per qualsiasi cosa: perché tutti sono concordi nel dire che le donne sono il motore dell’economia, ma sono anche i target privilegiati delle strategie di marketing. Come scriveva Avivah Wittenberg-Cox nel suo fortunato “Rivoluzione Womenomics”: «Le donne oggi costituiscono un immenso serbatoio di talento nel mondo del lavoro e rappresentano più della metà  dei beni di consumo». Non è dunque un interesse sociologico ad avere dettato le mosse del colosso della ricerca, ma certo i dati raccolti forniscono un quadro aggiornato dello stato dell’arte dalla parte del pianeta femminile. Ed è da qui, soprattutto dal confronto tra l’Italia e gli altri Paesi europei, che emergono grandi sorprese.
Perfino Roberto Pedretti, amministratore delegato di Nielsen Italia, rischiando di far infuriare le – o alcune, almeno – donne è costretto ad ammettere: «La figura femminile italiana si conferma ancorata a schemi mentali tradizionali: ritiene che l’uomo sia ancora il soggetto più adatto a ricoprire ruoli di maggiore prestigio, ad esempio nell’ambito professionale o politico». Fosse tutto qui: c’è anche di peggio. Il luogo privilegiato dell’esercizio del potere per la maggioranza delle italiane donne resta la casa, come se il focolare domestico fosse ancora il liquido amniotico nel quale nuotare. Il 27 per cento sostiene che, per genere, sia l’uomo il più adatto a lavorare fuori di casa. Il 52 per cento dice che le donne sono più portate ad occuparsi dei figli. Il 25 per cento rivendica con forza la tradizione del mammismo italiano: sono indubbiamente loro, le mamme, il genitore di riferimento.
Dati che stridono ancora di più se confrontati con quelli di altri paesi europei. La Spagna, ad esempio: dove solo l’8 per cento reputa che il lavoro retribuito sia un “affare” da maschi (l’89 per cento delle spagnole risponde che per questo aspetto uomini e donne sono uguali, mentre le italiane che lo sostengono sono il 66). E dove solo l’8 per cento rivendica alla donna un ruolo speciale di genitore. Perfino in casa, nella nostra piccola Italia, la famiglia è divisa in giocatori di serie A e serie B: le decisioni finanziarie e gli acquisti importanti, tipo la tecnologia, spettano agli uomini; le donne riservano per sé le scelte legate all’effimero, come le vacanze, l’acquisto di generi alimentari, o ancora quelle legate alla salute. C’è poi l’aspetto della partecipazione politica: il 29 per cento delle italiane (contro il 12 di Spagna e Germania) la descrive come una prerogativa maschile. Stessa cosa per la carriera: il 25 per cento pensa che a comandare devono essere gli uomini e il 34 ritiene giusto che guadagnino di più.
Eppure, in Europa, le donne italiane sono tra quelle che contribuiscono di più all’economia familiare: il 54 per cento (superato solo dal 55 della Germania) denuncia l’entrata di due stipendi e pazienza se poi il loro è più basso, tanto da non raggiungere la metà  delle entrate. Tutto, nella nostra idea della vita, è posticipato: l’età  “giusta” per il matrimonio (che va dai 25 ai 39 anni per il 58 per cento, contro il 54 per cento di inglesi che lo collocano tra i 18 e i 24); così come quella per fare dei figli. Un paese, insomma, dove il titolo di un libro della sociologa Francesca Zajczyk datato 2007 – “La resistibile ascesa delle donne in Italia” – è ancora di scottante attualità . Paola Profeta, professore di Scienza delle Finanze in Bocconi, vuole però fare dei distinguo, perché il rischio è quello che la statistica travolga i dati di realtà : «L’età , il livello di istruzione e la provenienza geografica delle persone che hanno risposto sono dati molto importanti perché sappiamo che il Sud è molto più arretrato e questo conta moltissimo. Questi dati, comunque, confermano un dato che anche altre ricerche evidenziano e cioè l’arretratezza della cultura di genere nel nostro Paese. In queste risposte, più che una volontà  delle donne di restare escluse, vedo una forma di rassegnazione».
Come dice Flavia Perina, parlamentare di Fli, sul palco di Milano il giorno della grande manifestazione dell’orgoglio femminista, “Se non ora quando”: «Le donne italiane sono succubi come tutti dello stereotipo culturale che si è affermato in Italia. Molte donne sono convinte che tocchi a loro fare determinati lavori, come fosse un destino naturale. In Spagna, che pure è un paese simile al nostro, Zapatero ha scosso questo cliché; in Italia negli ultimi anni si è rafforzato. Loro sono andati avanti, noi siamo regrediti agli anni ‘60». «L’Italia – aggiunge Zajczyk – ha sviluppato una visione velinistica della vita, come se il ruolo della donna dovesse essere sempre subordinato al maschio. Puoi anche lavorare quindici ore al giorno ma poi torni a casa e sei tu a dover fare il risotto e solo se ti metti ai fornelli superi i tuoi sensi di colpa e ti senti una donna completa. E questo è un problema culturale molto serio».
Oggi, in tutta Italia, vari gruppi di donne organizzano aperitivi, feste e incontri per festeggiare lo storico traguardo della legge sulle quote: perché sarà  anche una forzatura, ma è l’unico modo per modernizzare un paese affascinato dalla sua stessa vecchiezza. «Se non facevamo questa legge – esulta Alessia Mosca, che insieme a Lella Golfo è una delle firmatarie – rischiavamo di ritrovarci sul set di un film d’à ntan, “Questo non è un paese per donne”».


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