Rischio di povertà  assoluta per un milanese su dieci

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È questa la non sorprendente fotografia dei principali problemi di Milano secondo il tradizionale «Rapporto sulla città » che la fondazione Ambrosianeum ha diffuso ieri come ogni anno. Con un problema vero in più, questa volta, la cui diagnosi si deve all’economista Marco Vitale che l’ha identificata come il denominatore comune degli ultimi anni: il management by terror, lo chiama, in altre parole l’uso strumentale della paura di tutto, dal crimine all’immigrazione, dall’inquinamento alla crisi economica stessa, per trasformare il malcontento cronico in appoggio al potere. La buona notizia è che la via d’uscita c’è: basta andare «dentro e oltre la crisi — dice il Rapporto — per dare gambe alla speranza» . In prima fila ad ascoltare — altro fatto questo sì inedito o quasi rispetto alle presentazioni degli ultimi anni — c’è il vicesindaco Maria Grazia Guida con mezza giunta comunale: «Se il terzo settore vuole collaborare con noi— dice ai numerosi esponenti del volontariato presenti alla presentazione— la nostra disponibilità  è totale e anzi il mio è un invito a non rinchiudersi» . Certo i numeri per preoccuparsi ci sono: a cominciare dai 135 mila milanesi (il 10 per cento del totale) ormai ufficialmente classificati come «poveri assoluti» . L’indagine rivela pure l’esistenza di una certa «fiducia diffusa» che fino a qualche tempo fa sarebbe sembrata impossibile. Tuttavia i «lutti del terrorismo e di Tangentopoli» , secondo quanto scrive Marco Garzonio nella presentazione, sono stati solo «rimossi ma non superati» . Come riuscire a farlo? «Con una massiccia operazione di trasparenza e pulizia contro le nuove forme di paura e corruzione» . Servono «buone pratiche» per contrastare la rassegnazione. «Non si tratta — scrive ancora Vitale— di cercare una guida cui affidarsi ma di far emergere una classe dirigente che si ritrovi attorno a un progetto, lo animi, lo realizzi e lo difenda» . Rosangela Lodigiani, curatrice del rapporto edito da Franco Angeli, punta il dito contro la «pericolosa flessibilità  e precarizzazione» , a fronte della quale «occorrono politiche effettive di sostegno» . Perché «uscire dalla crisi si può — insiste il Rapporto — a patto di considerarla anche come momento di cambiamento» e con la volontà  di cominciare a dire no alle «infiltrazioni mafiose» e sì a una «economia della conoscenza» , no all’essere «città  chiusa» e sì a una «economia pluralista» , no alle scappatoie in cerca dell’evasione fiscale e sì a tutte le forme di «ottimismo non ingenuo» : sì in particolare— è la sintesi raccolta dal vicesindaco Guida — a tutto ciò che può favorire un maggiore ingresso e partecipazione della «imprenditoria sociale» , come il rapporto preferisce chiamare quel che normalmente vien chiamato il Terzo settore, nelle stanze dell’amministrazione politica in cui si prendono le decisioni» .


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