O la Borsa o la Vita. Basta ricatto del debito sovrano

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Il debito è stato lo strumento principe che ha permesso,dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, di continuare a crescere superando i limiti strutturali di questo modo di produzione capitalistico. È stato grazie al processo generale di indebitamento – degli Stati,delle famiglie e delle imprese- se i paesi occidentali (ad eccezione del Giappone) hanno potuto rimandare di ben trent’anni la crisi da sovraproduzione e la conseguente, inevitabile stagnazione economica. È stata la prima volta, dalla nascita del capitalismo industriale, che sono state infrante tutte le teorie sul ciclo economico -da Schumpeter a Kalesky a Kontradieff – con una crescita economica che in occidente , con brevi interruzioni, è durata dalla fine della seconda guerra mondiale alla crisi finanziaria del 2007-08, ed alla conseguente «Grande Recessione» odierna, come la definisce il Nobel Paul Grugman. Adesso, è arrivato il tempo di pagare il conto di questa crescita «drogata» e di ridurre drasticamente il processo di indebitamento, a partire dal debito pubblico. 

Ma, i debiti non sono uguali per tutti. Lo sappiamo bene. Ci sono piccole e medie imprese che sono fallite a causa di un alto indebitamento, e ci sono grandi imprese che ancora distribuiscono utili agli azionisti malgrado un indebitamento spaventoso che sfiora il fatturato annuo. Così, ci sono Debiti Sovrani- i debiti dello Stato- che rischiano di far fallire grandi e piccoli paesi europei, mentre gli Usa – il paese più indebitato al mondo, con un debito pubblico che ha raggiunto i 14.700 miliardi di dollari, pari al 95% del Pil- non è chiamato a risponderne (finché i Fondi Sovrani cinesi continueranno a comprare titoli di Stato a stelle e strisce). 
I paesi del Sud Europa appartenenti all’area Euro, insieme ad Irlanda e Belgio, rischiano il default se non decideranno drastiche misure di tagli alla spesa pubblica, abbassamento dei salari, licenziamento dipendenti pubblici,ecc. È il ricatto dei Mercati Finanziari, veri e propri usurai che si gettano sul corpo della vittima per spremerlo fino a portarlo al suicidio. 
La Grecia, piccolo e affascinante paese, con solo il 2% della popolazione e meno del 2% della ricchezza prodotta nella UE, sta diventando la «pietra d’inciampo», il punto di svolta di tutta la costruzione istituzionale europea. La Commissione Europea si riunirà  il 2 Luglio per decidere se concedere una ulteriore tranche dei 110 miliardi di euro per salvare il paese dal default. In cambio Bce e Fondo monetario internazionale chiedono una micidiale cura dimagrante allo stato greco, la svendita del patrimonio naturale e storico, tagli pesanti alla spesa sociale, riduzione dei dipendenti pubblici, ecc. Una terapia d’urto inutile e disastrosa. Inutile, in quanto la Grecia non potrà  mai restituire questo prestito, visto che per piazzare i suoi Bot è arrivata a pagare un tasso di quasi il 30% a due anni , e visto che con queste misure draconiane il suo Pil si stima che cadrà  del 4-5% annuo nei prossimi tre anni. In breve, con queste ricette avvelenate la Grecia si troverà  con un rapporto Debito/Pil ancora più alto di quanto non sia oggi. Per farvi fronte dovrà  mettere all’asta un intero paese, dalle sue isole sull’Egeo al porto del Pireo (in parte già  comprato dai cinesi), a quello che resta della sua struttura produttiva. E non basterà . Di contro, se non accetta queste misure/ricatto imposte dalla UE e dal FMI dovrà  uscire dall’Euro, ritornare ad una dracma che sarà  fortemente svalutata e produrrà  una spirale inflazionistica. 
Stessa sorte toccherà  agli altri paesi Ue del sud Europa, nell’ordine: Portogallo, Spagna ed Italia. La Germania non vede di buon occhio questa possibile uscita dall’Euro dei paesi sud-europei, sia per una concorrenza sui prezzi di monete svalutate, sia perché come ha scritto Romano Prodi «la Germania è troppo grande per l’Europa, ma è troppo piccola per l’economia-mondo». Inoltre, se la Grecia fallisce sono proprio le banche tedesche le prime a pagare lo scotto. 
Se non si capisce che la questione del «debito pubblico», non è un problema tecnico per specialisti, ma una questione politica di prima grandezza, una questione di rapporti di forza, allora il destino per le popolazioni del sud Europa è segnato. Sia che si rimanga nell’Euro pagando un enorme costo sociale, sia che se ne esca, sono i lavoratori, i giovani, i disoccupati, ed anche il ceto medio, che ne pagheranno le conseguenze. 
A questi dictat dei «mercati finanziari» e delle istituzioni internazionali (Bce, Fmi, ecc.) esiste una alternativa. I paesi del sud-Europa , insieme all’Irlanda ed al Belgio, rappresentano la metà  dei paesi aderenti all’Eurozona (se non consideriamo i piccoli paesi come Malta, Cipro e la Slovenia). Avrebbero pertanto un peso non indifferente se agissero insieme, individuando una piattaforma comune che consenta la ristrutturazione dei debiti sovrani. Certo, qualche istituto finanziario dovrà  rimetterci qualcosa, qualche titolo bancario subirà  uno scivolone in Borsa, ma salveremmo la qualità  e la quantità  della vita di oltre 130 milioni di cittadini europei. Non solo. Questa è l’occasione per rilanciare la Tassazione delle Transazioni Finanziarie (Ttf). In tutto il mondo occidentale sta montando una campagna per la Ttf, che si chiama Robinhood tax , nei paesi anglosassoni o campagna dello 005 che è partita in Italia ed ha già  raccolto il sostegno di insigni studiosi, intellettuali e varie associazioni, a partire da quelle cattoliche. Con una TTF di solo lo 0,05%, secondo uno studio coordinato da Leonardo Becchetti (Università  Roma 2) si otterrebbe un gettito di 210 miliardi l’anno che potrebbe non solo risanare i conti, ma rilanciare una politica sociale che è urgente in tutta l’Unione Europea. 
Gli «indignatos» di tutta l’Europa mediterranea chiedono a gran voce proprio questo: che si scelga tra la Borsa e la Vita. Se la crisi debitoria l’hanno procurata gli hedge fund, le grandi banche d’investimento, che la paghino loro e non la gente. Se le forze politiche della sinistra italiana non lo capiscono faranno la fine degli Zapatero e dei Papandreou, tanto da farci rimpiangere …Tremonti. Non basta cacciare Berlusconi se non si imbocca la strada dell’alternativa a questo modello economico e sociale ormai fallito.


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