Ancora piazza Tahrir. A Baghdad

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Safia Taleb al Suhail, deputata indipendente del parlamento iracheno, è impegnata nella difesa dei diritti delle donne. L’abbiamo incontrata presso l’università  di Roma Tre, durante un convegno sulle donne irachene, organizzato da Minerva in collaborazione con Law (Legal Aid Worlwide).

La rivolta che ha contagiato tutti i paesi arabi è arrivata anche in Iraq, sebbene non se ne parli. Quali sono gli obiettivi dei giovani di piazza Tahrir (si chiama anche lì così il luogo della protesta) a Baghdad?
L’Iraq è diverso da altri paesi. Il regime è cambiato nel 2003, ma non c’è stata una rivoluzione contro il dittatore e per avviare un processo democratico, come il popolo avrebbe voluto; ad abbattere il regime è stato l’intervento armato di una coalizione. In Iraq non abbiamo ancora una democrazia, il processo è bloccato perché abbiamo dovuto far fronte a molti problemi: la sicurezza, l’inaccettabilità  del nostro processo di democratizzazione per i paesi vicini, quel che è rimasto del partito Baath, la presenza di al Qaeda, che ha seminato violenza. La tensione tra le diverse comunità , anch’essa sfociata in violenza, ha contribuito a bloccare il processo. Per noi iracheni non c’è giustizia né uguali opportunità . Sono i maggiori partiti a spartirsi il potere e non danno nessuna possibilità  di partecipazione a chi non ne fa parte. I partiti controllano tutto, compresa la corruzione politica e amministrativa. Finora non abbiamo visto nessuna azione concreta per portare i responsabili della corruzione davanti a un tribunale, perché sono protetti dai leader politici. I giovani sono entrati in contatto con altre realtà  della regione e hanno realizzato che non sono soddisfatti del sistema politico, non chiedono il crollo del regime ma riforme del sistema per ottenere più libertà , democrazia, diritti.
Diritti che sono incompatibili con i partiti islamisti al potere.
In Iraq gli islamisti si sono resi conto che non possono più premere per imporre una visione ultraconservatrice della società , ma nello stesso tempo molti leader islamisti non sono in grado di controllare le nuove leve dei loro partiti, soprattutto a livello locale. Ci sono molte decisioni che non vengono recepite dai governi locali. Il governatore di Baghdad, Kamal Zaidi, ad esempio, recentemente ha preso delle iniziative contro l’Accademia delle belle arti e ha chiuso molti social club, compreso quello del sindacato degli scrittori. Questo ha creato molta frustrazione nella gioventù, che sull’onda di quello che sta avvenendo in altri paesi arabi è scesa in piazza. Si tratta di una protesta pacifica, con obiettivi chiari. Le rivendicazioni dei giovani sono: che vengano perseguiti coloro che hanno rubato, che si ponga fine alla corruzione, che si scelgano le persone giuste per il posto giusto in modo che i servizi siano garantiti, che si dia più spazio alle professionalità  e ai tecnici. Ora i partiti assegnano posti di responsabilità  a persone non qualificate, questa è già  di per sé una forma di corruzione che permette ai partiti stessi di fare i propri interessi invece di essere al servizio del popolo. Io sono orgogliosa dei nostri giovani, mi sento molto incoraggiata dalla loro azione. Di fronte al modo in cui è stato formato il governo, alla sua lentezza nel fornire servizi, alla scarsa partecipazione delle donne, questi giovani, ragazze e ragazzi, mi hanno dato più speranza per il futuro. Sono loro che ci insegnano come difendere i valori democratici.
E le ragazze avanzano rivendicazioni di genere?
Certamente. Ha fatto molto effetto una rappresentazione del Circolo libertà  ripresa da molte televisioni in cui una donna si presentava vestita da uomo, con la barba, il rosario in mano, il cappello e recitava: sono una donna, parlo dei miei diritti ma per farmi ascoltare devo comportarmi e vestirmi da uomo. Questo spettacolo è stato molto più efficace di molti discorsi. Molte giovani partecipano alle proteste e rivendicano i diritti ignorati delle donne, soprattutto rivendicano una partecipazione alla vita politica che è andata diminuendo: ci sono solo due donne ministro, una senza portafoglio e l’altra, ministra degli affari delle donne, con un budget irrisorio, un insulto per un processo democratico e per le elettrici irachene. Se una quota del 25 per cento di donne in parlamento non fosse prevista dalla legge, avremmo perso anche questa.
Nella scorsa legislatura le donne si erano mobilitate contro l’articolo 41 della Costituzione che prevede la possibilità  di varare codici di famiglia in base all’appartenenza religiosa. Come è finita?
Questo problema non è ancora risolto, perché il comitato formato dai partiti per rivedere la Costituzione nella precedente legislatura non ha portato a risultati. Il nuovo parlamento fino ad oggi non ha ancora ricostituito il comitato che riprenderà  la discussione sull’articolo 41 e la richiesta dei democratici e delle donne di mantenere il codice della famiglia in vigore, per non perdere quello che abbiamo ottenuto molti anni fa.
I partiti islamisti sono ancora forti?
Sì, ma stanno cambiando atteggiamento. Stanno cercando di rendersi più accettabili dalla società . Quando siamo andati alle elezioni, Nuri al Maliki rivendicava “uno stato di diritto”. Mi ha proposto di presentarmi con lui alle elezioni (nelle elezioni precedenti era con la lista di Allawi, ndr). Io sono una donna laica e ho chiesto: se sull’articolo 41 non avete una posizione chiara che difende la democratizzazione del paese, come pensate di potermi convincere? Se si annuncia la demolizione dello statuto di famiglia che abbiamo dal 1958, non pensate che questo si rifletterà  molto negativamente sulla campagna elettorale? I democratici, i baathisti vi schiacceranno. Bisogna prendere una posizione. Cosa vuoi Safia?, mi hanno risposto. Almeno questo, la possibilità  di discuterne ancora nel prossimo parlamento. Le donne devono essere parte del processo.
Così si è presentata nella lista di al Maliki?
Sì, mi sono presentata con la lista “Stato di diritto” di al Maliki, ma mi sono dimessa da questo gruppo dopo le decisioni prese dal governatore di Baghdad, perché il partito ignorava la partecipazione delle donne e per il modo in cui all’inizio il governo ha trattato le manifestazioni di protesta. Mi sono dimessa per mantenere la mia identità , perché credo nello stato di diritto, come liberale lavoro per uno stato moderno e non per uno stato islamico, voglio mantenere gli impegni con il popolo. Voglio difendere la Costituzione e le manifestazioni pacifiche, la posizione del governo poi è cambiata ma prima chiamava i manifestanti baathisti. Davano ai baathisti l’onore di essere quelli che protestavano per la democrazia, che in realtà  sono iracheni stanchi della corruzione dei politici che rivendicano un sistema democratico. Non sono solo giovani, ed è una sorta di training per i cittadini che non erano abituati a manifestare pacificamente per esprimere le proprie rivendicazioni. La gente è incoraggiata e quello che sta succedendo è positivo, l’atmosfera è buona, il cambiamento deve avvenire, fa parte del processo di democratizzazione.
Ma la situazione è ancora instabile a causa dei contrasti tra al Maliki e Allawi, mancano ancora dei ministri nel governo…
Sì, è così, manca l’accordo sui ministri della sicurezza. Maliki come premier è comandante in capo delle forze armate e pensa di avere il diritto di decidere sui problemi della sicurezza, ma non può farlo se tutti fanno opposizione. Ha presentato tre candidati per tre ministeri in discussione: interni, difesa e sicurezza nazionale. Ma, secondo gli accordi patrocinati dal presidente kurdo Barzani, il ministro della sicurezza deve essere indipendente, il candidato a ministro degli interni deve essere presentato dalla National alliance (Maliki), mentre il ministro della difesa anche se indipendente deve essere designato dal gruppo di Allawi. Cosa è successo? Che Maliki ha presentato tre nomi e il candidato per la difesa non è stato presentato da Allawi; da qui è nato il problema, che non è tanto sui candidati ma su chi li presenta. Molto resta da fare e non saranno gli americani a risolvere i problemi.
Ma gli americani si ritireranno come previsto entro la fine dell’anno?
Non ci sono richieste ufficiali perché gli americani rimangano, ma le posizione sono diverse: i sadristi sono per il ritiro, i kurdi non vogliono il ritiro totale (non è il momento), mentre lo “Stato di diritto” con lo Sciri e i gruppi del blocco di Allawi vogliono sentire il parere del governo e il governo il loro. Alla fine dovrà  essere il parlamento a prendere la decisione su proposta del governo in base a un rapporto sulla situazione della sicurezza, che non è ancora stato presentato. Tutti aspettano a prendere posizione perché temono la reazione della popolazione: se chiedono agli americani di restare saranno accusati di rinviare il ritorno alla sovranità , alla liberazione del paese.


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