Obama: “Via dall’Afghanistan 10 mila uomini”

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NEW YORK – Promessa mantenuta, da quest’estate ha inizio il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan: cinquemila subito, poi altri cinquemila entro la fine dell’anno. Lo annuncerà  questa sera alla nazione Barack Obama, in un discorso dalla Casa Bianca alle otto (le due di notte in Italia). A fine 2012 il presidente conta di riportare a casa tutti i 33.000 soldati del “surge”, l’escalation delle truppe che lui stesso aveva deciso nel dicembre 2009. Sarà  quindi ridotto di un terzo il contingente americano (oggi centomila soldati) quando il presidente affronterà  gli elettori per conquistarsi un secondo mandato nel novembre dell’anno prossimo. Il segretario alla Difesa Robert Gates ieri ha ammesso che la decisione sul calendario e sulle dimensioni del ritiro ha dovuto tener conto di spinte contrastanti. 

Da una parte, ha detto Gates, c’è «una nazione stanca di un decennio di guerre». Tutti i sondaggi lo confermano: per la maggioranza degli americani la presenza militare in Afghanistan non ha più ragion d’essere. Per il Congresso, lacerato sui tagli da fare al deficit pubblico, l’onere militare è insopportabile: ufficialmente quest’anno l’Afghanistan costa 112 miliardi di dollari al contribuente. Ma sul versante opposto ci sono i generali: furono loro a premere su Obama per ottenere il “surge”, spuntandola contro chi avrebbe smobilitato già  a fine 2009 (il vicepresidente Joe Biden).
Ora i generali, con in testa David Petraeus che comanda le forze alleate in Afghanistan e presto passerà  alla Cia, sostengono che l’escalation di truppe è stata decisiva per rovesciare le sorti della guerra. E non vogliono trovarsi con un dispositivo indebolito, proprio in una fase in cui bisogna fare il pressing finale sui Taliban, costringere almeno una parte di loro a un accordo politico sul futuro del paese. Quella è la condizione perché il ritiro finale delle truppe da combattimento della Nato non riapra una guerra civile e un ritorno al potere dei nemici storici. Ma il ritiro a partire da questa estate 2011 è una promessa solenne che Obama fece agli americani nel dicembre 2009. È tanto più vincolato a mantenerla, ora che Osama Bin Laden è stato ucciso: la fine del capo di Al Qaeda ha eliminato una delle ultime giustificazioni per la costosa mobilitazione militare, agli occhi dell’opinione pubblica americana. La conferenza dei sindaci delle città  Usa ha votato una risoluzione chiedendo a Obama di finire le guerre e spendere quelle risorse per sostenere l’occupazione. Perfino i repubblicani voltano pagina rispetto alla tradizione: un’insolita coalizione bipartisan vuole rimettere in discussione anche l’intervento militare in Libia, e la mobilitazione di un “falco” anti-Gheddafi come John McCain è minoritaria rispetto all’isolazionismo che monta nella destra.

 


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