Indignati e cancellati

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Quel decreto legge approvato il 5 maggio era una accozzaglia di norme («a costo quasi zero» sostenne Tremonti) che ancora non ha visto la luce: non per colpa della Camera che sulla legge si è impegnata parecchio riuscendo a approvare anche emendamenti bipartisan, ma per colpa del governo che lo ha voluto caricare di contenuti disparati e poco organici. L’approssimazione di Tremonti e company non deve stupire: quel decreto fu varato solo per dare una spinta elettorale alla maggioranza per le elezioni amministrative.
Ieri il governo è tornato alla carica: ha deciso di presentare un maxi emendamento sul suo decreto e di porvi la fiducia. In alcuni punti le nuove norme sono – se possibile – ancora peggiori di quanto approvato in commissione alla Camera. Su un punto sembra quasi che il governo si sia voluto vendicare. Il riferimento è a 20 mila precari della scuola abilitati, che erano stati inseriti (da Lega e Pd) nelle graduatorie e che il governo (la Gelmini?) ha voluto cancellare togliendogli ogni speranza, facendoli tornare «invisibili», ma aumentando il loro livello di indignazione.
Ormai la politica del governo si muove esclusivamente sugli effetti «annuncio». Nulla è sulla carta, ma non mancano chiacchiere e dichiarazioni sulla prossima riforma fiscale che – miracolisticamente – dovrebbe dare un impulso alla crescita. Gente seria (padroni, in testa) si dice a favore di una imposta patrimoniale che senza far aumentare la pressione fiscale possa riequilibrare il fisco a favore dei produttori.
Il governo tace. Anzi, fa di peggio: dice di volere meno imposte sulle persone, ma poi si appresta a tassare di più i consumi, col rischio di una spinta non da poco all’inflazione. E sui tagli alla spesa pubblica si sta facendo un lavoro sotterraneo.
Tagli «non lineari» come chiede il governatore Draghi, ma ancora più infami, visto che si vuole penalizzare la previdenza delle donne, bloccare ulteriormente le retribuzioni dei dipendenti pubblici e alla fine dare il colpo di grazia a quello che resta dello stato sociale.
Forse la Lega non si è resa conto che Roma non vuole mettere le mani nelle tasche degli italiani, ma delega a Regioni e comuni questo compito.
Con una sola alternativa: meno sanità , meno assistenza, meno previdenza, meno scuola. O se preferite: imitazione del modello scolastico a «stelle e striscie» nel quale la scuola pubblica è pessima e riservata alle classi sociali meno abbienti, ai cittadini di serie «C».
Con Berlusconi, Tremonti, Brunetta, Sacconi e Gelmini non si va da nessuna parte: anche se è banale ripeterlo, vanno messi da parte, impedendo loro di fare altri guai. Forse hanno un solo merito: aver provocato la nascita e la crescere anche in Italia di un soggetto nuovo che forse li seppellirà : gli «indignati».


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