Aiuti, ora Merkel e Sarkò hanno fretta

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BERLINO – Nel braccio di ferro sulle modalità  di un secondo programma di aiuti alla Grecia – si parla di una somma fino a 120 miliardi di euro da aggiungere ai 110 miliardi già  concordati nel 2010 – la Germania non pretende più da Atene una rinuncia «sostanziale e quantificabile» a parte dei loro crediti. Il governo tedesco si allinea sulle posizioni della Banca centrale europea (e della Francia), che vuole evitare ogni misura interpretabile come una dichiarazione di insolvenza dello stato greco: insolvenza che, costringendo le banche che detengono titoli greci a correggere al ribasso la valutazione dei loro portafogli , comporta il rischio di destabilizzare ulteriormente il sistema bancario.

La svolta è venuta ieri al termine di un incontro alla cancelleria tra il presidente francese e la cancelliera. La Sà¼ddeutsche Zeitung non ha dubbi sull’esito del colloquio: «Merkel cede. Sarkozy festeggia l’intesa». Nella conferenza stampa congiunta si è chiarito che un «contributo dei creditori privati» (banche, assicurazioni, ma anche privati cittadini) potrà  essere solo «volontario», e in armonia con i criteri della Banca centrale europea. La Bce l’ha spuntata, il suo presidente – il francese Trichet – non ha alcuna voglia di farsi mettere i bastoni tra le ruote da Berlino.
Superato questo scoglio, la via a un’intesa sul secondo pacchetto di aiuti sembra aperta, anche se restano molti dubbi da chiarire sul contributo dei creditori, comunque ora derubricato a obolo «volontario». I paesi dell’eurogruppo ne discuteranno domenica e lunedì prossimi in Lussemburgo. Merkel e Sarkozy sono ora d’accordo nel dire che bisogna fare in fretta. E questa è una buona notizia per la Grecia, perché ancora il giorno prima si aveva l’impressione che il governo tedesco volesse tirarla per le lunghe, a dopo la pausa estiva pausa estiva. Tanto da meritarsi una preoccupata tirata d’orecchie dal presidente dell’Eurogruppo, il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker: «Non credo si possa consentire un rinvio a settembre».
La disputa, risolta ieri con la scappatoia della «volontarietà », era stata aperta da una lettera del ministro delle finanze Wolfgang Schà¤uble (Cdu) ai colleghi europei e alla Bce, pubblicata dalla stampa tedesca il 7 giugno. Vi si chiedeva un contributo «quantificabile e sostanziale» degli imprenditori privati (e delle banche) ai costi dell’aiuto alla Grecia, che non avrebbero dovuto ricadere solo sulle spalle dei contribuenti europei. In sostanza Schà¤uble chiedeva una «ristrutturazione del debito», formula gentile per dire che lo stato greco non era in grado di restituire con le modalità  previste i soldi chiesi in prestito. Il ministero delle finanze riteneva impraticabile un drastico «hair-cut», un taglio di capelli per cui riduce la somma da rimborsare. Propendeva piuttosto per una dilazione temporale, imponendo ai creditori, via via che vengono a scadenza le obbligazioni da loro possedute, di cambiarle con titoli dello stesso valore nominale, ma a scadenza settennale. Cià  avrebbe consentito alla Grecia di diluire nel tempo i suoi impegni, risparmiando, secondo stime fatte circolare dallo staff di Schà¤uble, circa 30 miliardi di Euro.
La Bce ha obiettato che anche questa dilazione nel tempo dei debiti veniva considerata generalmente un’ammissione di insolvenza da parte del debitore, e quindi non si poteva praticare, a meno di non voler mandare in bancarotta Atene.
Gettato ieri nel cestino il piano originario di Berlino, si penserebbe adesso a una soluzione «nello spirito di Vienna», come ha detto ieri Sarkozy. Il riferimento è una cosiddetta «Iniziativa di Vienna», con cui nel 2009 diverse banche si dichiararono disponibili a mantenere i loro investimenti in alcuni paesi dell’Europa dell’est gravemente colpiti dalla crisi finanziaria. In genere avrebbero dunque riacquistato obbligazioni di quei paesi alla scadenza. Questo potrebbe ora ripetersi con la Grecia, e ciò sarebbe il loro «contributo volontario» ai costi degli aiuti a quel paese. Ma se è così, difficilmente il contributo potrà  essere solidamente «quantificabile». Come e quanto le banche vorranno impegnarsi resterà  affar loro.
Ma perché Schà¤uble ha tanto soffiato nella tromba populista del «far pagare la crisi anche alle banche» – far finta di prendersela contro «la speculazione finanziaria» suona sempre bene – pur sapendo che non se ne può cavar nulla? Infatti, anche se si volesse davvero procedere su questa strada, si colpirebbero anche banche tedesche, nonché la Bce di Francoforte, che ormai detiene la maggior parte dei titoli greci: alla fine della fiera, e al netto della demagogia, il conto la pagherebbero comunque i contribuenti europeo, o per salvare le banche private o per rifinanziare la banca comunitaria.
Lo ha fatto per rabbonire la crescente pattuglia di euroscettici tra i deputati del centrodestra. Il governo tedesco, come quelli olandese e finlandese, fatica a contenere la fronda di quanti ritengono che la Grecia sia un pozzo senza fondo e che non convenga «svenarsi» per quel paese: Solo con un accenno a un contributo «adeguato» delle banche Schà¤uble era riuscito la settimana scorsa a far passare una mozione al Bundestag.


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