“Un popolo si è messo in marcia la politica si lasci contaminare dai nuovi colori dei movimenti”
ROMA – La fine dell’indifferenza. La rivincita sulla paura. A suo modo, una rivoluzione. Roberto Saviano legge così i giorni delle elezioni amministrative e dei referendum, i giorni in cui l’Italia si è scoperta un Paese diverso. Lancia una sfida alla politica: si faccia contaminare dai colori dei movimenti. Alla Rai: se non vuole Vieni via con me la rifarò altrove, magari all’estero. Poi avverte: la macchina del fango è stata scoperta ma non sconfitta.
I giovani sono tornati. Il bene comune è di nuovo al centro della scena dopo anni di silenzio e individualismo?
«Credo che qualcosa stia cambiando in modo radicale e che metta molta paura al governo. Quello che sta avvenendo è una sorta di mutazione dell’indifferenza. Il termine movimento non è corretto, parlerei quasi di una moltitudine, di un popolo in cammino. Perché non c’è per ora un percorso definito, non c’è un solo e unico programma, ma arrivano da più parti. Tutto questo ha un sapore rivoluzionario. Sa di rivoluzione liberale così come la intendeva Gobetti».
I segnali di questo cambiamento si potevano già intravedere?
«La politica in questi anni è stata lontana dai problemi reali, e questa distanza – paradossalmente – ha significato poter comprare voti. “Manca il lavoro? Votami e l’avrai”. “Le strade non vanno bene, hai bisogno di un asilo? Appoggiami e forse l’avrai”. Finalmente da cittadini stiamo capendo che lo scambio non significa avere qualcosa, ma perdere tutto il resto. Quel politico che magari ti apre la piscina comunale ti sta togliendo tutto il resto. I segnali erano nella protesta degli studenti, in quella delle donne, nella manifestazione per la libertà di stampa, al Palasharp. Lì c’erano cittadini che chiedevano risposte».
In questo scenario, quale deve essere il ruolo dei partiti?
«I partiti vincono se sanno guardare oltre se stessi. E questo non significa cedere all’antipolitica. Significa cambiare la selezione delle classi dirigenti non cercando solo amministratori ma talenti. La moltitudine di cui parlavo ha portato alla politica colori nuovi: il viola, l’arancione. I cittadini hanno saputo mescolarsi, hanno saputo unirsi come i partiti non sono riusciti a fare. Questi nuovi colori possono trasformare i partiti a una condizione: che gli apparati non ne siano spaventati. Devono essere disposti ad ascoltare prima ancora di indicare una strada. È fondamentale trasmettere idee che vadano oltre i personaggi carismatici, idee che siano valide per se stesse e possano sopravvivere al politico del momento».
Lo scorso 14 dicembre a Roma gli studenti protestavano in piazza mentre il Parlamento era chiuso a votare una fiducia rattoppata al governo. Oggi, dopo il referendum, quell’immagine è un simbolo: il fortino della maggioranza assediato da un movimento che gli cresce attorno e con cui non sa e non vuole comunicare. Il caso Brunetta è l’ultimo esempio. Come si reagisce a questa chiusura?
«Il governo ha paura, non rispondere è avere paura. E la loro chiusura è l’inizio della fine, la dimostrazione della loro debolezza. Il movimento dei giovani ha saputo rinunciare alla strada della violenza e ha rilanciato nuove forme di comunicazione, di aggregazione. Anche laddove c’erano posizioni diverse ci si è uniti nella necessità di dover cambiare il Paese. Questa è la novità che la politica dei partiti non ha saputo trovare, e che ha risposto – vincendo – alla chiusura del governo».
Da una parte il ruolo di Internet, che ha veicolato i messaggi della politica portandoli in ogni casa, attraverso giovani che hanno convinto genitori, zii, nonni. Dall’altra la vecchia televisione, che dovrebbe parlare a tutti ma che in questo caso è sembrata non raggiungere nessuno. Il servizio pubblico non esiste più?
«La Rai perde autorevolezza. Quando, nei giorni successivi la vittoria dei sì al referendum, fa più di un servizio attaccando i social network per vendicarsi del ruolo che Facebook ha avuto alle ultime elezioni. Quando nel servizio sul processo che condanna Dell’Utri si riferisce la seconda parte della sentenza, ovvero l’assoluzione per i fatti successivi al ‘92, e non la condanna per quelli precedenti, la televisione diventa propaganda. E perde credibilità . Verso tutti, non solo verso chi non è d’accordo con il governo».
Il ritardo nei palinsesti, trasmissioni come Vieni via con me e Annozero cancellate dal futuro della televisione pubblica. Come ha vissuto questi giorni?
«Con sofferenza. La Rai lavora contro le sue migliori trasmissioni. Vieni via con me è arrivata a 9 milioni di persone, ha superato il Grande Fratello e la Champions League parlando di temi difficilissimi, ed è stata cancellata. Perché parlava a un pubblico trasversale. Perché anche chi non è d’accordo con Mina Welby ha potuto ascoltarla, e riflettere. La Rai ha paura di Vieni via con me. Del suo successo, delle migliaia di elenchi e mail arrivate alla trasmissione, delle persone che il lunedì si riunivano insieme per seguirci. Ha preferito non parlarne, dimenticarlo. Ma io voglio rifarla, e con me vogliono rifarla Fabio Fazio e gli altri autori. Non so dove andrò, non so chi avrà il coraggio di ospitarla, se non vorrà farlo nessuno ci inventeremo uno spazio, magari all’estero. La verità è che la Rai è disposta a perdere denaro pur di non infastidire il potere politico. Come se un editore, davanti a uno scrittore che vende milioni di copie, preferisse rinunciarvi perché quell’autore parla a troppe persone. Mi sento di dire una cosa, anche come telespettatore: se vogliamo una trasmissione prendiamocela, chiediamola. Difendiamo con la presenza, con le parole, trasmissioni e storie che vogliamo ascoltare, da Annozero a Report, da Che tempo che fa a Parla con me. Noi da qualche parte forse troveremo uno spazio. Chi ora pone ostacoli avrà paura, noi no.
C’è chi dice che a questo punto, dopo il successo del referendum, visto il declino dei media tradizionali, si può considerare il conflitto di interessi italiano meno preoccupante, meno pericoloso per la democrazia. Basta l’ironia a sconfiggere la macchina del fango come è successo a Milano con Pisapia?
«In questa fase i media classici stanno subendo Internet, anche per la poca qualità della comunicazione. Ma se l’onda dell’indignazione dovesse scemare, quei media torneranno a essere centrali. La macchina del fango è stata scoperta, non sconfitta. L’inchiesta che ha portato all’arresto di Luigi Bisignani è un’inchiesta fortissima. Voglio essere cristallino: il gossip è un sistema di estorsione. Un racket. Con metodi identici a quelli mafiosi. Gossip è una parola allegra che nasconde il tentativo di distruggere l’immagine delle persone, giocando sulla vendetta».
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