Turchia, un’analisi del voto

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“Quasi un turco su due ha votato per noi”, ha dichiarato Erdogan al margine degli ultimi spogli elettorali. Il partito di Erdogan ha conquistato circa 21 milioni di voti, riaffermando il proprio appeal sulla società  turca, incoraggiata da un periodo di crescita senza precedenti che la sta traghettando verso i primi posti tra i paesi cosiddetti “emergenti”, con un ritmo impressionante in termini di Pil. Ma sul piano politico queste elezioni hanno riversato un duro colpo alla maggioranza del partito filo-islamico: l’Akp, infatti, ha perso 15 seggi parlamentari a favore del Chp che ne ha conquistati 34 e il partito filo-curdo del Bdp che è passato da 20 a 35 deputati.

Obiettivi mancati. Quello che era il principale obiettivo del partito del primo ministro Erdogan, cioè di riuscire a rafforzare la propria maggioranza in vista di una sostanziale modifica della Costituzione turca, è fallito clamorosamente. Nella fase pre-elettorale il premier aveva più volte annunciato di voler raggiungere una forte maggioranza, capace di governare il paese senza dover scendere a patti con i partiti all’opposizione. Un atteggiamento quanto mai spavaldo. La modifica più importante proposta dall’Akp consiste nel voler variare gli art. n. 16 e 26 della Costituzione, che riguardano la composizione della Corte suprema e del Consiglio Superiore della Magistratura.

Ebbene, con “appena” 325 deputati eletti, l’Akp non potrà  continuare quel programma di riforma costituzionale iniziato qualche mese fa con il referendum popolare del 12 settembre. Infatti, per proporre emendamenti costituzionali, senza l’appoggio di altri partiti, è necessario avere la maggioranza dei 2/3 del Parlamento, cioè 367 seggi. Perciò ora sarà  necessaria una consultazione con gli altri attori politici per proporre un referendum di revisione costituzionale, come quello del settembre scorso. Ma a giudicare dalle campagne elettorali dei vari schieramenti politici, riuscire a trovare un punto d’incontro sarà  piuttosto complesso: considerando la storica rigidità  politico-programmatica del Mhp e la nuova rinascita del Chp, che con Kiricdaloglu ha dato nuova linfa al movimento d’opposizione turco.

Ottima prova per i curdi. In questo contesto, caratterizzato da una sostanziale cristallizzazione dello scenario politico nazionale, il movimento politico curdo conquista un importante traguardo, portando in parlamento ben 35 deputati indipendenti (di cui undici donne) e la relativa questione curda si appresta a diventare un importante test per il governo Erdogan, come sottolineato anche dal New York Times.

Con circa 2,860,000 milioni di voti, il partito del Bdp (Partito per la Pace e Democrazia) ha conseguito numerose vittorie nelle provincie del sud est turco, a maggioranza curda. L’unica nota dolente rappresenta la provincia di Tunceli (Dersim per i curdi zazaki), dove il partito perde il proprio dominio a scapito del Chp, mentre nella provincia di Sali Urfa sono solo due i candidati indipendenti curdi ad accedere al prossimo Majles (parlamento turco).

Scenario regionale. L’Unione Europea ha espresso soddisfazione per il terzo mandato di Erdogan. Il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso e il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy – in una nota – si congratulano con il premier turco: “I risultati aprono la strada a un successivo rafforzamento delle istituzioni democratiche e al proseguimento della modernizzazione del Paese, in linea con gli standard e i valori europei”.

Il Vice Ministro degli Esteri israeliano, Danny Ayalon. ha detto in un’intervista a Radio Israele che i risultati delle elezioni turche presentano una nuova opportunità  per ricucire i rapporti tra Tel Aviv e Ankara. L’atteggiamento israeliano è dettato dal corso degli eventi che stanno interessando tutta la regione mediorientale: la crisi siriana rende ancora più fragile l’equilibrio geopolitico, mentre il Libano ha annunciato la formazione di un nuovo governo guidato dal primo ministro Najib Mikati, di cui 19 ministri su 30 sono esponenti del partito Hezbollah, noto per essere fautore di una politica anti-israeliana.
La recente crisi siriana rischia inoltre di destabilizzare la stessa Turchia, poiché continua l’esodo dei cittadini siriani verso i confini turchi, soprattutto nella provincia turca di Hatay, che ha portato il numero dei rifugiati in fuga dal regime di Damasco a circa settemila unità , una tragedia umanitaria sottodimensionata dai media occidentali.

Anche la stampa araba parla di vittoria “mutilata” dell’Akp. Il quotidiano Al Arabiya ha evidenziato come il prossimo governo turco dovrà  affrontare numerose sfide, impossibili senza una maggioranza forte e capace di governare. Tra le maggiori preoccupazioni, il quotidiano arabo pone l’accento sulla politica fiscale turca, che deve frenare il tasso d’inflazione e la disoccupazione giovanile, che è elevata in un paese dove l’età  media è di 28 anni.

Il supporto iraniano, attraverso la stretta collaborazione tra i due paesi in molti campi, potrebbe venire meno dopo le elezioni parlamentari programmate per il 12 marzo 2012, considerate le evidenti crepe all’interno della nomenclatura del regime, che hanno messo in discussione perfino la posizione dell’attuale presidente Ahmadinejad.
Condividere gli obiettivi. Le recenti elezioni hanno mostrato come esistano diverse realtà  in Turchia, composte da islamisti, nazionalisti e liberisti. Il difficile compito del prossimo governo sarà  perciò quello di coordinare queste diverse realtà  verso una riforma quanto mai necessaria della carta costituzionale, avvallandosi del supporto che ciascuno schieramento è in grado di dare, cercando di rappresentare la volontà  del popolo turco.

* ICTS Analyst
geoinformazione.wordpress.com


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