Ribelli e disertori, in fuga dalla Siria
DAMASCO – L’operazione militare continua. Dopo aver preso controllo della cittadina di Jisr Al-Shougur, al termine di scontri – contro «bande armate di terroristi», secondo le fonti ufficiali; contro truppe ammutinate e passate con i manifestanti, secondo testimonianze di residenti – le truppe speciali dell’esercito siriano, con mezzi pesanti ed elicotteri, stanno rastrellando i villaggi circostanti. Ieri 6 civili sono stati uccisi ad Ariha, pare, mentre i carri armati sono giunti all’entrata di Maraat al Nauman, un villaggio più a sud, teatro di grandi proteste.
Continua anche l’esodo. Pare che siano circa 10.000 i siriani a ridosso del confine con la Turchia, sulla via della fuga. Mentre gli sfollati ormai giunti in Turchia (sono oltre 8.500) raccontano che l’esercito sta facendo «terra bruciata»: raccolti incendiati, bestiame ucciso, centinaia di arresti ed episodi di brutalità .
Aumentano le testimonianze di soldati che hanno disertato. «Mi era stato ordinato di setacciare Rastan perché c’erano terroristi armati ma non ne ho visti, solo civili», racconta un soldato di Homs.
Carrarmati dell’esercito sono giunti anche ad est, nel villaggio di Abu Kamal, al confine con l’Iraq, vicino Deir al Zour. Anche alcune aree di Latakia, città costiera, sono circondate da mezzi pesanti. Con il crescere dell’intervento dell’esercito – stanno richiamando riservisti – contro la popolazione, aumentano le defezioni. «Se mi chiedono di sparare contro i civili, io scappo» dice preoccupato Maher, soldato di leva a Damasco: «Se si sfalda l’esercito, il regime è finito». Nonostante la repressione, manifestazioni continuano a tenersi a sorpresa, soprattutto di notte, in varie località .
Gli Stati Uniti parlano di crisi umanitaria nel nord e chiedono l’accesso per la Croce Rossa e le organizzazioni umanitarie, ma sul piano politico si limitano a chiedere al presidente Assad di avviare una transizione democratica «o farsi da parte». Resta in ballo una risoluzione promossa dai paesi europei presso il Consiglio di sicurezza dell’Onu, che condanna la repressione violenta delle proteste ma non prevede sanzioni né un intervento militare. Russia e Cina (membri con potere di veto) non hanno partecipato alla riunione.
«Noi chiediamo pressione internazionale sul regime, non un intervento internazionale», ha affermato Luai Husseini, scrittore, esponente dell’opposizione. «Un intervento armato esterno in un mosaico di comunità confessionali ed etniche come la Siria rischia di far finire il paese molto peggio che l’Iraq, basta ricordare i tempi dell’occupazione francese con piccoli statarelli confessionali», sostiene Amer, studente di storia.
L’agenzia di stampa ufficiale Sana comunica che ad Atef Najib, cugino del presidente ed ex-capo della sicurezza a Daraa, è stato vietato di lasciare il paese. «Il regime vuole mostrare che inizia a combattere corruzione e impunità », commenta Amer. La conferenza per il dialogo nazionale del governo è stata posticipata a fine mese, ma l’opposizione insiste a chiedere prima la fine delle violenze. La proposta politica presentata dal Coordinamento dei comitati locali (www.lccsyria.org) chiede le dimissioni di Assad, un periodo di transizione e riforme costituzionali verso un sistema multipartitico.
Molti attivisti siriani hanno reagito con rabbia alla beffa del blog A gay girl in Damascus (Amina era in realtà uno studente scozzese) perché discredita il loro lavoro e distoglie l’attenzione dagli avvenimenti nel paese (10.000 persone reali arrestate in tre mesi), mentre continua a essere impedito l’accesso alla stampa internazionale.
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