La primavera dei giovani

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Non è che i giovani sono geniali quando vince la sinistra e rimbambiti quando vince la destra. C’è un pendolo dell’inevitabile, ma c’è anche qualcosa di inedito che va cercato nel qui e ora e aiuta a capire che cosa è successo.
Quel che è inevitabile è uno spostamento. A molti, al netto delle illusioni, è parso che soltanto il ricambio generazionale potesse favorire un diverso flusso delle opinioni e dei voti. Se dal ‘94 a oggi il blocco che fa capo a Silvio Berlusconi, variamente accompagnato, ha sempre sfiorato o superato la maggioranza, nonostante la palese incapacità  di mantenere le promesse e lo spasmodico impegno nel martoriare il corpo delle leggi, la sola spiegazione è l’esistenza di un altrettanto solido blocco di elettori: anestetizzati, indifferenti, tuttalpiù interessati alla prospettiva dell’ampliamento della propria veranda.
Per scalfirlo non era pensabile mutare le opinioni. Occorreva mutare gli elettori. Averne di nuovi, diversamente pensanti. Pareva un’illusione anche quella: le generazioni entranti si presentavano già  appiattite. A prima vista. L’errore è stato considerarli una massa in fila per entrare nella casa del “Grande Fratello” e nulla più. Dimenticare lo spirito se non di ribellione, di contraddizione. I giovani di vent’anni fa cercavano una propria espressione politica e come potevano adagiarsi su quella dei padri: sul resto della Dc (ricordate Martinazzoli?), sugli eredi del Pci (mica era sexy Occhetto)? Preferirono quella che allora era una novità , l’uomo che si era fatto da sé (Berlusconi), il tabù infranto della destra (Fini), il colorito e allora vigoroso mondo della Lega (Bossi e Maroni, ora sequel di se stessi).
Oggi la scena è cambiata. Ci sono nuovi attori e nuovi strumenti. Personaggi come Letizia Moratti sono invecchiati di un decennio in una settimana, relegati a foto color seppia nell’album degli zii. Dove la politica è una cosa noiosa, fatta di dibattiti e con personaggi calati dall’alto. Nei file dei nipoti è una cosa diversa. Coinvolge quanto più si occupa di temi specifici. L’acqua. Che cosa c’è di più semplice? Abbiamo diritto a scegliere chi regola i rubinetti? Sì, certo che sì. Coinvolge di più quando propone figure nuove, di cui rivendicare la scoperta e la valorizzazione. Non importa che condividano l’anagrafe, contano di più l’entusiasmo, il disinteresse, l’onestà  intellettuale. Quanti anni ha Pisapia? Diceva Picasso: «Ce ne vogliono molti per diventare giovani». Quanti anni ha Celentano? E Grillo? È un ragazzino Nichi Vendola? A spostare prima ancora che voti, emozioni sono stati personaggi così, ai confini dello spettacolo, certo: perché gli altri non lo erano? Perché, che cosa non lo è?
E con quali mezzi? Qui c’è stata la sorpresa più grande, ma solo per chi ha vissuto questi anni al chiuso. Per chi (da ogni parte) ha creduto che controllare cinque tg su sette fosse decisivo. E pensare che il dato era davanti agli occhi di tutti: sotto i trent’anni non c’è praticamente più nessuno che guardi un notiziario. La verità , la strepitosa verità , è che Minzolini e Fede non generano consenso, ma parodie. Che la complessa rielaborazione della realtà  a cui dedicano la loro vita professionale muore sul tavolo di un tinello mentre la mamma sparecchia e i figli sono già  in camera, davanti al computer, a vedere sul web la sora Cesira che ne fa coriandoli. Eccoci qua, a fine percorso, vicini al lieto autoavverarsi della profezia: una risata vi seppellirà . Se una pagina sta davvero voltando non l’hanno sospinta l’ego dei tribuni da prima serata o i cartelloni del leader in maniche di camicia. È stato un soffio molto più potente: l’irrefrenabile ironia di chi non aveva niente da perdere, perché non aveva ancora cominciato a vincere.

 


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