Battuti potere economico e media hanno vinto «la dignità  e la decenza»

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LIMA – Dopo il batticuore nello spoglio delle schede, domenica scorsa, quando il vantaggio di Ollanta Humala su Keiko Fujimori si era ridotto a qualche decimo di punto, le elezioni presidenziali peruviane hanno premiato Ollanta e la sinistra. Con tre punti di differenza, Humala è il presidente eletto. In attesa di entrare in carica insieme al nuovo congresso, il 28 luglio, è subito partito per un viaggio di ricognizione per il Cono sud, segno che l’inegrazione gli sta a cuore..
Parliamo con Nelson Manrique, sociologo, opinionista del quotidiano limegno La Repàºblica, sul significato della vittoria di Ollanta Humala e sulle forze che si sono scontrate nella campagna.
«La vittoria di Ollanta – dice- significa la sconfitta del grande capitale, del potere economico e mediatico appoggiato dall’attuale governo: il presidente Alan Garcà­a ha spalleggiato apertamente la candidatura di Keiko Fujimori. La campagna giornalistica per distruggere la figura di Humala é stata brutale. E’ stato un assalto dei media, bloccando tutto quello che non fosse propaganda a favore di Keiko». Eppure ha vinto Ollanta: sarà  che i media non sono poi così decisivi? «Per rompere questo blocco è stata fondamentale la reazione etica della società  peruviana. Posso affermare che mai nella storia repubblicana del Perຠsi era prodotta una simile convergenza di intellettuali, professionisti, artisti, scrittori, giornalisti, architetti, filosofi, sociologi…, la parte più creativa del paese si è mobilitata. Tutto ciò si condensa in due parole: decenza e dignità ». C’è stato un fattore giovani, un fattore internet anche qui, come nelle rivolte arabe o in Spagna? «Direri di più: il fattore decisivo è stata la partecipazione giovanile: il 26 maggio c’è stata una mobilitazione di decine di migliaia di giovani, come non si vedeva dagli anni ’70. Oggi i ragazzi, con Facebook, Twitter e il resto, sono padroni delle reti sociali, sono stati fondamentali per rompere l’accerchiamento informativo».
Anche se, e Manrique non lo nega affatto, l’appoggio dell’ex-presidente Alejandro Toledo e dello scrittore Mario Vargas Llosa è stato decisivo per il risultato, quest’ultimo in particolare perché è servito ad articolare un vasto fronte di intellettuali. I dati elettorali mostrano che le regioni più favorite dal benessere economico hanno votato per Keiko, mente in quelle escluse dalla bonanza Ollanta ha trionfato: ci sono due Peràº? «E’ vero -risponde -. C’è una frattura nel nostro paese che ci trasciniamo da due secoli. Una fratturra irrisolta. In ampie regioni del Perù la richiesta più forte è quella di un riconoscimento e Ollanta ha saputo captare questo sentimento, risvegliando molte aspettative sul suo governo».
Ollanta rispetto al 2006 si è spostato gradualmente verso il centro, sostituendo l’inquietante figura di Chà¡vez con quella più rassicurante di Lula. E tutto questo senza perdere le simpatie della sinistra: come ha fatto? «In Perຠnon esiste più una izquierda a livello di partiti e di candidati ma ci sono ancora milioni di izquierdistas…».
Ma come spiega Manrique il fatto che i poteri forti del paese, quelli che hanno scatenato una guerra sporca contro Humala, non abbiano saputo trovare un cavallo migliore della figlia di un ex-dittatore incarcerato. Per lui si spiega facilmente: «In Perù c’è un 20% di voti che è lo zoccolo duro del fujimorismo e con base popolare. Nel 1999, verso la fine del decennio di Fujimori, si distribuivano aiuti alimentari a 9.5 milioni di peruviani su 24. Cifre ufficiali. Settori popolari economicamente molto depressi e politicamente arretrati, a cui questa democrazia non ha mai dato nulla. Per loro un benefattore che regala scarpe, magliette e un campo da gioco è meglio di una democrazia che non funziona. A questo 20% si è sommato il 28% che ha votato Keiko per paura di Humala, anche a costo di dimenticare violazioni dei diritti umani, ruberie e corruzione del fujimorismo».


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