Rapporto sui Diritti Globali 2011. Come uscire dalla crisi dei diritti?

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Il collasso mondiale causato da operazioni di alta finanza ha finito per avere effetti concretissimi, soprattutto per chi fa più fatica: anziani, bambini, disabili, immigrati, famiglie: «Con la crisi – denunciano i curatori del rapporto – gli stati europei stanno semplicemente cercando di liberarsi degli oneri derivanti dalla protezione degli strati sociali più deboli e dal mantenimento di una serie di servizi pubblici a suo tempo considerati essenziali». La crisi del sociale non è soltanto economica, ma anche di consenso: in tempo di “austerity”, infatti, si insinua con facilità  la convinzione che, nel tirare la cinghia, sia fatale che vengano compromessi gli interessi di chi può contribuire in misura minore o nulla alla costruzione del benessere economico. In due parole, di chi sta “ai margini”. E il nostro Paese è tra i primi della fila nell’Europa dei 27 tra quelli con i tagli più sostanziosi ai fondi per le politiche sociali: dal 2008 al 2011 gli stanziamenti per questo settore sono scesi da oltre 2 miliardi e mezzo di euro a poco più di mezzo miliardo. Una riduzione che sfiora l’80%, come sottolinea il rapporto, e che si presenta particolarmente dura per il fondo per le politiche sociali italiane: era 584 milioni di euro nel 2009, sarà  ridotto entro il 2013 a 44 milioni. Con la crisi è cresciuto il numero dei disoccupati e di conseguenza quello delle famiglie a rischio povertà , soprattutto nel sud del Paese: «Un giovane, una donna delle regioni meridionali – scrive Susanna Camuso in prefazione al Rapporto – non hanno solo redditi più bassi e minori occasioni di partecipazione alla vita lavorativa e sociale, hanno strutture scolastiche più carenti, meno assistenza sanitaria, peggiori condizioni di trasporto. Gli anziani hanno più scarsa assistenza fuori della famiglia di quanta non ne abbiano gli anziani al Nord. L’economia è più debole e la società  è meno coesa e organizzata. In vaste aree del Mezzogiorno la criminalità  organizzata sostituisce lo Stato come dispensatrice di occasioni di lavoro, di reddito e di assistenza».
Ma il divario tra Nord e Sud non esaurisce le disuguaglianze del nostro Paese. Si allarga infatti sempre più la forbice tra ricchissimi e poverissimi: l’Italia è al sesto posto nella classifica Ocse della disuguaglianza sociale. Posto di 1.260 euro il salario medio mensile di un lavoratore, una donna lavoratrice percepisce un compenso più basso di 12 punti percentuali, un immigrato il 24,7% in meno, un giovane lavoratore il 27% in meno, se collaboratore il 33,3% in meno.
Ma il rapporto della Cgil non si ferma ai problemi di casa nostra: tratteggia in generale una condizione di decadimento dei diritti, in un mondo costellato di guerre e di interessi economici e convenienze che predominano sugli altri parametri di giudizio nell’azione dei governi. Secondo i dati di Emergency, citati nel rapporto, in un solo mese sono morte, in 20 Paesi colpiti da conflitti più di 2.500 persone. E nel dopo Fukushima, i curatori del rapporto lanciano anche un monito sulla necessaria riforma del sistema energetico dei paesi sviluppati: «L’equilibrio tra sfruttamento economico e disastro ambientale è ormai molto sottile e fragile – scrive Camusso – e, prosegue, – la sicurezza e la salute sono bisogni primari dei cittadini e dei lavoratori e non possono essere subordinate agli interessi economici privati».
Quali ricette per uscire dalla crisi dei diritti? Il rapporto rilancia la strada indicata dall’associazione Sbilanciamoci: 40 miliardi di euro per la lotta alla povertà , da ottenere con una riforma fiscale che tassi le rendite, tagli alle spese militari e alle “grandi opere” di dubbia utilità . E inoltre, la garanzia di un reddito minimo per chi si trova in condizioni di indigenza. Una proposta, quest’ultima, che è realtà  in molti Paesi dell’Unione. Tra le proposte per un futuro migliore, gli autori del rapporto si fanno idealmente testimoni del messaggio di Vittorio Arrigoni, attivista per la causa palestinese, ucciso a Gaza lo scorso 14 aprile:  «Restiamo umani – scrive Sergio Segio nell’introduzione al rapporto – è un programma politico, un rovesciamento culturale, non solo un’esortazione morale. Basterebbe mettere al centro delle scelte, delle politiche, delle attenzioni l’uomo, anziché le merci e il denaro». Restare umani, appunto.


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