Al voto al voto
Così, per rispondere alla domanda se due settimane fa abbiano vinto i partiti del centrosinistra, o la famosa società civile e i suoi movimenti. Tutti e due, magari, a condizione di capire in che rapporto reciproco stanno, e soprattutto possono stare. Il rifiuto di un giorno unico per i due voti – fra i 300 e i 350 milioni di euro buttati via, coi tempi che corrono – si sta traducendo in un autogol, non tanto per l’occasione di dare l’ultima spinta a Berlusconi, quanto per la sensazione dell’importanza delle questioni in ballo, che oltretutto continuano e completano la svolta dei sindaci e degli amministratori. Sono prima di tutti loro ad avere a che fare con i siti nucleari o con la gestione dell’acqua, come mostra la municipalità parigina, che ha revocato la privatizzazione: un fiume potabile che risale la sua corrente. Esempi di privatisti idrici pentiti, come la Bolivia o il Burkina Faso, e nuclearisti pentiti come la Germania e la Svizzera. E basta leggere la dichiarazione parigina («La totalità dei guadagni della nuova organizzazione verrà reinvestita nel servizio») per farsi un’idea della pretesa sulla «adeguatezza della remunerazione del capitale investito».
Voglia di votare, e vasta passione volontaria, altra cosa dalla “militanza” di un tempo: per varietà di temi e forme, per un disinteresse non distorto in abnegazione, per un buonumore capace di riscattare tetraggine d’opposizione e barzellette di governo. Banchetti, musica, biciclette – biciclette soprattutto, il veicolo più appropriato alle idee chiare e gentili. Il nucleare lo suggerì, per contrasto con la sua smisuratezza lugubre, fin dall’inizio: «Nucleare? No, grazie». Ora le ragazze che si sdraiano per terra al suono dell’allarme a simulare la catastrofe atomica si rialzano e sulla maglietta hanno scritto: “I am a nice person”. Come la cuccia di casa con la targhetta: “Chien gentil”. Cani da guardia gentili, è una gran bella idea.
I movimenti pullulano di belle idee. E sono abbastanza numerosi e sicuri di sé da sciogliere il malinteso sulla “società civile”, che si immagini contrapposta ai partiti da liquidare, o apprendista di partiti concorrenti. Sanno che cosa fare e si impegnano a farlo, e che cosa ci si può aspettare dal voto. Quanto ai partiti, devono ammettere di essersi disabituati da tempo a fare le cose e accettare di mettersi in discussione con gli attori sociali indipendenti, e provare a raccoglierne mezzi e fini. La decisione di lasciare la manifestazione conclusiva per i referendum ai comitati promotori è tanto lodevole quanto ovvia.
Tutto questo non sarebbe possibile se non si fossero risvegliati i giovani, che stanno forse scoprendo di poter occupare il proprio presente meglio che lamentando d’esser derubati del futuro, e se non ci fosse la fantastica gamma di comunicazioni tascabili di cui oggi ciascuno dispone, e suscita l’invidia di chi viene dall’età della pietra e del ciclostile.
Sul sito di questo giornale si aggiorna via via l’elenco delle iniziative referendarie, senza perdere quel meraviglioso gusto di prossimità e di realtà dei mille campanili italiani: “Alle 18, sotto la statua di Eraclio…”. Chi inventi qualcosa, un cartello spiritoso, una bandiera appesa alla barba di Garibaldi, una recita di pistole ad acqua, un flash mob, può metterla subito in una circolazione universale. Anche chi è solo e nessuno lo ascolterebbe, come certe piante che fioriscono fuori mano senza che nessuno le veda. Uno in Puglia ha messo un annuncio: “Se non passano i sì, vendo per un euro la casa al mare in sito nuclearizzato”. (In Puglia è morto alla vigilia del voto Enzo Del Re, che suonava con le mani su una valigia o una sedia, e invocava il solo legittimo impedimento contro la fatica che ammazza chi lavora).
A scorrere l’elenco gli slogan più aggiornati piuttosto che di acqua pubblica parlano di acqua come bene comune, a costo di tecnicismi come: «Commons: un nuovo paradigma oltre il privato e il pubblico». Affare serio, intendiamoci, e del resto gli esempi di una gestione comune e trasparente esistono già in Europa e da noi, e la regione toscana propone una specie di azionariato popolare. Tuttavia ben prima dei nuovi paradigmi, nel 1955, uno come don Milani – tempestivamente ristampato ieri dall’Avvenire – scriveva: «Che i legislatori cattolici prendano dunque in mano la Rerum Novarum e la Costituzione e stilino una legge semplice in cui sia detto che l’acqua è di tutti». E don Milani si batteva per un consorzio che desse l’acqua a nove famiglie, nella montagna del suo esilio. Ora l’occasione ce l’hanno tutti. In verità , il referendum è un prezioso bene comune. E già questo pullulare di iniziative – in cui l’arcipelago cattolico tiene una parte importante – è un risultato raggiunto. La controparte, quella che fa appello all’astensione – e ha tutto il diritto di farlo, e anche la vergogna – ha già ammesso di avere contro di sé la maggioranza. Gente che si immagina che fra un anno sia dimenticata Fukushima, e che lo sia già Chernobyl. Abbiamo due proverbi cugini, uno dice: “Fatta la festa, gabbato lu santu”, l’altro: “Fatta la legge, trovato l’inganno”. Sempre più spesso nell’uso li si confonde: “Fatta la legge, gabbato lu santu”. È un compendio dell’azione di governo.
Di qua sta la felicità di una partita leale e di un weekend di acqua dolce.
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