Chiesa, in che mondo convivi?

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In Croazia, ancora una volta Benedetto XVI – come prima di lui papa Wojtyla – ha condannato le convivenze associandole alla leggerezza incosciente di chi “riduce l’amore a emozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senza impegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca e senza apertura alla vita”. Ha ragione Paola Concia a rispondere con una battuta: “Giusto, lasciamo che si sposino le coppie gay”.
PERCHà‰ la famiglia che è descritta dai pulpiti non ha nessun contatto con quello che avviene nella società . Lasciamo stare gli atteggiamenti soggettivi e le ebbrezze passeggere. Il nodo di fondo è che è saltato il vecchio impianto della famiglia – come si è retta ancora fino alla II guerra mondiale – dei contadini, degli operai, dei borghesi grandi e piccoli che si sposavano tra i venti e i trent’anni. Che avevano di fronte a sé il binario di prospettive sostanzialmente stabili, consuetudinarie, senza grandi scosse culturali.
Questa famiglia non c’è più. Cos’è capace di dire la Chiesa-istituzione ai giovani uomini e alle giovani donne che riescono a crearsi una vita economicamente più o meno “sistemata” (e spesso meno che più) sul finire dei trent’anni se non intorno ai quaranta? Cosa dovrebbero fare nei due decenni di intervallo fra la pubertà  e il matrimonio o la convivenza? “Peccare” solitaria-mente o in due, correndo poi al confessionale… attendere il principe azzurro e la regina dei sogni?
C’è un parlare astratto dai pulpiti che chiude gli occhi dinanzi alla realtà , niente affatto composta nella sua grande maggioranza da “peccatori” o edonisti, ma da uomini e donne che cercano la loro strada. E ritengono positivi i rapporti prematrimoniali, mettersi alla prova, sperimentare la vicinanza dei corpi e dei temperamenti perché non ha senso imbarcarsi in naufragi.
Il vecchio modello non si reggeva su anime più virtuose, ma sul mero fatto della subordinazione della donna, che una volta entrata nella struttura del matrimonio “lì stava”, mentre l’uomo proseguiva sentendosi garantita comunque una propria libertà . Non è più così. Il divorzio è stato assunto da centinaia di milioni di persone – del tutto pacate, equilibrate, non consumiste – come un dato di valore. Giustamente. Il disvalore è il fallimento di un legame, la fine di un progetto, il deteriorarsi di una vita insieme. Non la presa d’atto responsabile della fine. Sciogliere un rapporto quando non c’è più “comunione” e comunicazione è positivo, liberatorio, vivificante.
SI VIVE insieme in molti modi, oggi. Si formano coppie eterosessuali o gay fortemente solidali, che accettano anche la prospettiva che un domani le vie possano separarsi. Perché si è cresciuti con ritmi diversi, perché non si condivide più lo stesso progetto.
Ci si sposa, ci si separa, si convive, si vive da soli, ci si risposa, si vive in case separate. Il modello Mulino Bianco non esiste più. Da tempo. Non è il segno di un arbitrio sfrenato. È il prodotto di una società  che rende tutti più mono-nucleari. Una società  segnata fortemente anche dall’incertezza economica. Una società  più mobile, più liquida.
QUANDO IL cardinale Bagnasco descrive la gioventù italiana come “generazione inascoltata”, senza futuro – cogliendo l’angoscia derivante dalla perenne precarietà  – bisogna poi capire (come fanno da decenni i parroci) che è tramontato il contesto in cui coppie speranzose si accostavano all’altare o andavano in municipio appena superati i vent’anni.
Vuol dire che la Chiesa non ha più spazio per trasmettere valori evangelici nei rapporti tra uomo e donna, tra persona e persona, tra genitori e figli? Niente affatto. Ha moltissimo da dire sul rispetto, la tenerezza , l’amore, il perdono, la cura, la pazienza, lo sforzo, la solidarietà , il sacrificio, la condivisione, la responsabilità . Tutto ciò che attiene al nocciolo di quel comandamento senza tempo che dice: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Perché, come spiegano gli esegeti, soltanto riconoscendo l’Altro simile a me, io e noi possiamo vivere in pace, in serenità .
E moltissimo, naturalmente, può venire da un messaggio religioso per la dimensione educativa, quel mondo complicato, affascinante, sempre da esplorare in cui i genitori fanno crescere i figli in modo che siano maturi e in-dipendenti.
Però per ritrovare l’ascolto delle nuove (e meno nuove) generazioni la Chiesa dovrebbe abbandonare l’ossessione di controllare il territorio della sessualità  e dei rapporti interpersonali come è stato nei secoli passati. Quella stagione non tornerà  più. I ragazzi che osannavano Wojtyla al giubileo di Tor Vergata , poi sotto le tende facevano felici all’amore.
Se poi l’uso delle parole papali deve servire per perpetuare il veto ad una legislazione sulle coppie di fatto, è ora che si dica basta a quei politici, che legittimamente vivono la propria vita e poi pretendono – tra una baciata di pila e l’altra – di ingabbiare di veti le esistenze altrui.


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