Il gioiello della giustizia che rischia di morire

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Il cammino della storia non era quello di una palla di biliardo, che segue una certa traiettoria: somigliava a quello di una nuvola; oppure alla passeggiata di un bighellone, che guarda, ascolta, fiuta, odora, ondeggia, si arresta, riprende, qui è distratto da un gruppo di persone rumorose, là  da una stravagante chiesa barocca, e arriva infine in un luogo che non conosceva e dove non desiderava giungere. Esisteva un’altra Austria-Ungheria, di cui Musil si prendeva gioco: quella dell’Autorità  assoluta, dell’Ordine, della Giustizia, della Sicurezza, della Realtà  e della Ripetizione. Qui non c’era possibilità , né fumo, né congiuntivi: solo un solenne presente che diventava solenne futuro e generava, per imitazione, un solenne passato. L’Impero era disseminato di Palazzi di Giustizia: ce n’era uno a Graz, uno ad Amstetten, uno a Salisburgo, uno a Bregenz, uno a Innsbruck, uno a Rovereto. Il più bello era a Trento. Erano tutti uguali, o quasi uguali: spessa muratura, soffitti a volta rinforzati da arconi, pavimenti in lastroni di pietra. Lo stile era austero ma non ricercato, solenne ma non opprimente. Nello stesso periodo di tempo, a Roma, in una parte della città  veniva costruito il tribunale, in un’altra il carcere e la chiesa o la cappella per i carcerati. Francesco Giuseppe, invece, voleva che tutte queste istituzioni occupassero lo stesso edificio, perché facevano parte di un disegno unico di Dio e dell’imperatore. Così chi giudicava (il tribunale), chi veniva punito (il carcere) e chi si pentiva ed espiava o immaginava di espiare (la cappella), stavano gli uni vicini agli altri, come abitanti di uno stesso paese. La realtà  dell’Austria Ungheria, che per Musil era fumo e congiuntivi, aveva in questo caso un’unità , una struttura, un senso, un fine. Nel 1881, Francesco Giuseppe inaugurò il Palazzo di Giustizia di Trento, costruito da Karl Schaden, un architetto famoso. Il Palazzo attraversò il tempo: ospitò decine di migliaia di giudici, funzionari, carcerati; ma il tempo lentamente lo logorò, come è sua abitudine. Qualche decennio fa, le carceri erano in condizioni mediocri. La Provincia di Trento, appoggiata dal Tar, decise di demolire le carceri, e di insinuare nel vecchio, pesante Palazzo nuovi edifici in leggero vetro-cemento, con giardini e giochi d’acqua. Come osserva Giovanna degli Avancini, è una decisione insensata. Tutto il complesso, nato dal progetto unico di Karl Schaden, va conservato e restaurato, senza tagli, demolizioni e aggiunte. Gli edifici analoghi, in Austria, nella Repubblica Ceca e in Polonia, vengono protetti gelosamente, come simboli dell’Impero. Il Vittoriano, il Palazzo di Giustizia e la Zecca di Roma sono enormi e bruttissimi: molto meno decorosi del Palazzo di Trento; ma nessuno ha mai osato insinuarvi un cabaret, un teatro d’opera, una gelateria, una pasticceria, una macelleria, o un edificio in vetro cemento con festosissimi giochi d’acqua.


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