Il Libanese, il Freddo e la rivoluzione

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(Luce sull’autore, i ragazzi sono al buio)

AUTORE: «Te la ricordi Lella quella ricca/la moje de Proietti er cravattaro…». In quel locale alla Suburra, il Libanese c’era capitato per una storia di fumo. Un tizio di piazza Pantero Pantera, alla Garbatella, gli doveva qualcosa, poca cosa, ma non pagava. Il Libanese era già  pronto col fero alla mano quando quello se n’era uscito colla proposta. «Se tratta de questo, Libano. M’avanza ‘na boccetta di olio di afgano nero, roba da sballo de lusso, ce spizzi dentro la punta de ‘na sigaretta e, daje, partenza, mejo che ar granprì de Montecarlo. Lo vendi alla tipa e per te è tutto frutto…». Libano ci aveva pensato un po’ su, prima di accettare. Certo, c’era la sua quota di rischio. Ma quando mai il Libanese s’era spaventato del rischio? A deciderlo per il sì era stata, più che altro, la curiosità  della tipa. «’Na matta, scoppiata cor botto, Libano», gli aveva garantito il garbatellaro, «fija de ricchi, e dice che li odia. Ma i soldi di papà  non gli fanno mica schifo». Così, adesso se ne stava davanti alla terza birra, a risentire per la terza volta la canzone di Lella, quella ricca. Calcolò che con qualche amico di quelli buoni, tipo, per dire, Freddo, Ricotta e Bufalo, ripulire il posticino sarebbe stato un gioco da ragazzi.
«Ciao. Tu devi essere il Libanese. Io sono Giada». La ragazza era proprio come gliel’aveva descritta Guido della Garbatella: un incrocio fra un’attrice americana e una dea. I ricci così neri che mandavano lampi da temporale notturno, quando il cielo si spacca a metà  fra blu scuro e ghiaccio che acceca, occhi come certi animali che inquadri coi fari la notte, quando hai tirato tre piste e c’hai i poteri dei supereroi, un profumo come quando quella notte a quindici anni, coll’amico suo Dandi, s’era fatto una bottega di cosmetici a via Appia Nuova. «Scusa il ritardo», stava dicendo intanto lei, mentre lui si assestava accanto, e manovrava senza dare nell’occhio per afferrare uno scorcio del décolleté che affiorava dalla blusettina color lillà , «ma c’era il collettivo. Tu frequenti qualche collettivo?». «Dalle mie parti si chiama batteria», rispose, e le offrì una sigaretta. Lei accettò con un lieve sorriso. «Batteria? Sei dell’ala militare?» s’informò, abbassando di un tono la voce. «All’ala non ci ho mai giocato», ribatté lui. Lei si fece di colpo seria. «So chi sei. Guido mi ha parlato di te». «Ah, sì? E che t’ha raccontato?» «Che fate lo stesso lavoro». «Qualcosa in contrario?». «Per niente. Stiamo dalla stessa parte». Sì, considerò Libano, sì, ha ragione il garbatellaro. Questa è proprio matta. Dalla stessa parte! Matta, bella. Indifesa. Non è aria, Libano. E fu per troncare sul nascere il curioso senso di tenerezza che sentiva montargli dentro che decise di tagliare corto. «Stammi a sentire. Non ho tempo. Hai portato i soldi?». «Ma che fretta! Non ti va di fare due chiacchiere?». «Te l’ho detto, non ho tempo».

LIBANO: Ma che cazzo sta dicendo!
(Luce su Libano e Freddo)
FREDDO: Calmo, Libano, vediamo come va a finire!
LIBANO: Ma che vediamo e vediamo! (Fa il verso all’autore) Curioso senso di tenerezza… ma quando mai!
FREDDO: E dà i, mica è così strano! Tu hai capito che lei è diversa da te, è fragile, sta in un altro mondo, ma cerca un… un contatto, un canale di comunicazione…
LIBANO: E io ce l’ho bello pronto il canale di comunicazione!
FREDDO: No, tu provi tenerezza… non mi dire che non ti è mai successo!
LIBANO: Ce mancherebbe! Ma non co’ ‘na matta che va cercando solo ‘na cosa: fasse ‘na bella canna e ‘na bella scopata!
FREDDO: È proprio questo il punto, Libano! Sei tu che non hai voglia di farti una canna e una scopata!
LIBANO: ah, no? E di che cosa avrei voglia, secondo te e (indica l’autore) ‘sto soggetto?
FREDDO: Di innamorarti.
LIBANO: (ride) E io che ho detto? ‘Na bella scopata non è amore?
FREDDO: No che non lo è. È un’altra cosa, Libano. È amore.
AUTORE: Quando vi è comodo, se avete voglia di sentire il seguito, io andrei avanti…
LIBANO: (all’autore) A coso, mo’ m’hai stufato! Finché me racconti che co’ due o tre compagni se po’ fa’ un colpo, te seguo… Ma tu a noi ci conosci e non ci conosci, e quando non ci conosci, racconti fregnacce…
AUTORE: Per esempio?
LIBANO: Per esempio… tu c’hai ragione quanno dici che io so’ stato rabbia e fantasia. E proprio per questo hai sbajato, quanno m’hai raccontato come ‘na specie de pupazzo de… come se chiama quello che dice che è il capo dei spioni?
AUTORE: Il Grande Vecchio…
LIBANO: Ecco, bravo, il Grande Vecchio. Roba politica. Ma io colla politica c’ho sempre giocato, che te credi…
FREDDO: (scettico) E alla fine t’hanno fregato… anzi, c’hanno fregato tutti quanti…
LIBANO: Ma nun è stata la politica, Freddo! È stata la strada! È che se semo messi contro la nostra legge. O sai, no, Frè?
FREDDO: Non c’è grande criminale che non sogni di diventare un rispettabile uomo d’affari. Per riuscirci, deve allontanarsi dalla strada. Ma quando ti allontani dalla strada, le volti le spalle. E allora arriva dalla Strada qualcuno più forte, o solo più disperato di te, e ti spara alle spalle.
LIBANO: Giusto, no?
FREDDO: E per questo siamo dei perdenti, Libano. Non la dovevamo manco giocare, ‘sta partita.
LIBANO: Oooh, parla per te! Io…
AUTORE: (raccoglie i fogli) Interessante dibattito. Ma a questo punto io che ci sto a fare qua? Fate tutto voi… arrivederci…
FREDDO/LIBANO: Oh, che fai? E ‘ndo vai mo’? Ma che, te sei offeso? Ammazza, quant’è suscettibile, il Dottore!
AUTORE: M’avete appena detto che ho raccontato una storia sbagliata, che non ho capito niente…
LIBANO: Tu non hai capito niente, ma io voglio sapè il seguito colla pischella, là , come se chiama…
AUTORE: Scrivitelo da te il seguito, visto che ci tieni tanto!
LIBANO:(estrae la pistola) Forse non sono stato chiaro…
AUTORE: In effetti, il seguito ci sarebbe…
FREDDO: Bravo. Così si fa. Avanti, su…

(Luce sull’autore)
AUTORE: Appena finito di fare l’amore, si fumarono una canna. Libano sognava ad occhi aperti. Una casa così, fatta su misura per gli dei. Una donna bella e disponibile, sempre bella e sempre disponibile. Un senso di morbido, di calore. Un… una vita, ecco, non gli veniva un’altra parola, una vita.
Aveva seguito Giada a un paio di riunioni del collettivo. Una noia mortale. Giada lo aveva definito «inconsapevolmente rivoluzionario». Vagheggiava un’unione fra rivoluzionari e banditi, fare squadra fra il Palazzo e la Strada, diceva, questa è la nostra unica speranza. Inconsapevolmente rivoluzionario. La questione coinvolgeva la sua natura profonda, il suo stesso modo di stare al mondo. Libano sentiva di appartenere a un’altra storia. Fece un ultimo tiro, spense la canna. Giada s’era riaddormentata. Era una ragnatela che l’avvolgeva. Una ragnatela di passioni, forse di perdizione. Prese la decisione. Inconsapevolmente rivoluzionario: un’altra volta, grazie.
(Luce sugli attori)
FREDDO: Insomma, inconsapevolmente rivoluzionari sarebbe a dire che non sapevamo di essere una specie di guerriglieri… di combattere una specie di guerra contro il mondo dei ricchi…
AUTORE: Sì, voi sentivate dentro di voi il peso di un’esclusione, e siete andati all’assalto del Palazzo d’Inverno del potere, e mentre lo conducevate, questo assalto, il peso dell’esclusione vi dava forza, forza e cattiveria…
LIBANO: Per me, eravamo soltanto fijji de ‘na mignotta… e pensavamo all’affari nostri…
AUTORE: Infatti, ho detto inconsapevolmente…
FREDDO: E quindi secondo te se fossimo nati e cresciuti in un ambiente migliore… in un mondo migliore… saremmo stati diversi…
LIBANO: Parla per te!
FREDDO: Lascialo dire! Po’ esse, se ci penso, po’ esse… però allora non è solo colpa nostra…
AUTORE: No, certo. Quelli come noi, i borghesi, i benpensanti, quelli normali, a un certo punto vi hanno abbandonato al vostro destino. Abbiamo smesso di preoccuparci dell’esclusione, l’abbiamo messa nel conto, vi abbiamo concesso tutto quello che si poteva concedere senza sporcarci le mani, chessò, tanti televisori, il cellulare, la cocaina, lo sballo, i vestiti firmati, il gioco d’azzardo, e vi abbiamo lasciato a pascolare nel vostro ghetto, così che la vostra inconsapevole carica rivoluzionaria diventasse consapevole sfruttamento delle nostre debolezze…
LIBANO: E noi ve semo venuti a cercà  a casa vostra!
FREDDO: Secondo te, allora, fra noi c’è stata una specie di scambio…
AUTORE: Precisamente. Ma è stato uno scambio nel quale ci abbiamo perso tutti. Noi adesso ci ritroviamo assediati dalla vostra cultura coatta, e voi siete diventati in tutto e per tutto simili a noi. Soltanto ancora un po’ più rozzi…
LIBANO: Ahò, bada a come parli, eh!
AUTORE: Soltanto un po’ più rozzi, ma solo per adesso. Comunque, siete diventati in tutto e per tutto simili a quelli che sguazzano nell’esclusione. Anzi, vi piace da matti escludere.
LIBANO: Me pare corretto. È quello che abbiamo sempre cercato: io so’ mejo dell’artri, cose così, no, Fre’?
FREDDO: Però c’è una cosa che me rode…
AUTORE: Dilla.
FREDDO: Noi che siamo finiti nella tua storia abbiamo fatto tutti una brutta fine. Chi morto, chi in galera, chi infame. Cioè, scrittore, tu hai regalato ai tuoi lettori un finale edificante. Allora, secondo me, sei stato un po’ disonesto…
AUTORE: Addirittura!
FREDDO: Eh sì, disonesto! Quanti ne conosci, tu, oggi, che pagano di persona? Quanti che alla fine ammettono le loro colpe? Quanti? Tu te la senti di dire «il crimine non paga»? Sii sincero, su, dacce ‘sta soddisfazione… dalla a noi, e dalla ai pischelli che girano colle magliette colla faccia mia e quella del Libano…
AUTORE: (senza rispondere) Libano e il Freddo fecero tutto con molta calma. Giada era fuori Roma per l’intero fine settimana. Aveva accettato l’invito di uno dei capetti del collettivo, uno che portava sempre maglioni bianchi, anche d’estate, e aveva un casolare di famiglia a Cortona. «Grazie, non vengo, non è il mio ambiente», s’era schermito il Libano. «Non è che stai pensando di lasciarmi, no?». «Vieni qua, scema, damme un bacio». Non si sarebbero più rivisti. Non dopo quello che le stava facendo. «Io ho finito, Libano», disse il Freddo, mostrando l’ultima preda: una piccola trousse piena di anelli, perle e braccialetti. Libano annuì. Sì, andiamo, non c’è più niente da fare, qua dentro. «E tu sei sicuro che non ce denuncia, l’amichetta tua?» «No. Non lo farà , Freddo». Prima di chiudersi la porta alle spalle, Libano posò il disco sul comodino, quello accanto al letto dove aveva fatto l’amore con Giada. Anzi, dove s’era scopato Giada. Magari si sarebbe consolata dello sgobbo proprio ascoltando Te la ricordi Lella. E al Freddo, che gli chiedeva «perché proprio quella canzone?» rispose, con un’alzata di spalle, «è una lunga storia. Magari te la racconto un altro giorno». E poi aggiunse, ma con una nota amara che sorprese lui per primo, «quanto dici che arzamo co’ ‘sto Bukhara?» «Mah», sospirò il Freddo, «se l’Agnolotto di via der Pellegrino è in buona, minimo minimo un testone».

 


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