Un paese di poveri lo siamo già 

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Perché ci siamo ridotti così male? La ovvia risposta è che negli ultimi decenni gli italiani hanno speso più di quanto abbiano prodotto e guadagnato. Insomma, siamo vissuti a debito, accumulando debiti. Beninteso, non è successo soltanto da noi. Negli anni Sessanta molti intellettuali, e poi i baldi sessantottini della rivoluzione studentesca, hanno promesso «aspettative crescenti» ; una idea che a tutt’oggi eccita gli economisti. Al contempo i sociologi osannavano l’avvento di una «società  post industriale» che sarebbe poi stata la «società  dei servizi» . E così per alcuni decenni siamo andati allegramente avanti incamerando la disoccupazione post industriale in una ipertrofia di servizi parassitari, e confidando (aspettative crescenti) in una crescita infinita. Quando la bolla di una economia segnatamente finanziaria e speculativa è scoppiata, c’è chi non ha retto (oggi specialmente la Grecia, davvero sull’orlo della bancarotta). L’Italia si è salvata perché il nostro sistema bancario è restato, per fortuna, abbastanza provinciale, e perché gli italiani sino a poco tempo fa hanno risparmiato. Ma ora non sono più in grado di farlo. E così la nostra salvezza finanziaria dipende dalla fermezza di Tremonti nel difendere la cassa dello Stato. So bene che i tagli uniformi sono ingiusti e a volte dannosi. Però vorrei vedere come si fa, in Italia, a negoziare taglio per taglio ministero per ministero. Ma il quesito sembra sorpassato dagli eventi. Sono ormai una quindicina di anni che vedo Berlusconi in televisione sempre raggiante, sempre radioso. Ma dopo la batosta delle elezioni amministrative l’ho visto più volte nero come la pece (in volto). Quando è volato da Obama alla riunione del G8 per spiegargli che lui era un perseguitato da giudici comunisti (una alzata di ingegno che ha lasciato tutti allibiti) era livido. E l’ho rivisto livido, in questi giorni, anche in altre occasioni. Questa volta abbiamo davvero a che fare con un Orlando, pardon, un Berlusca, furioso. Non ho mai pensato che il Cavaliere avrebbe mai rinunziato al potere. E se finora ha lasciato fare Tremonti era perché Bossi lo sosteneva e anche perché così poteva scaricare l’impopolarità  del rigore fiscale su di lui. Ma ora il Cavaliere fa lui la mossa della popolarità  intimando che «Tremonti deve tagliare le tasse» . Povero Tremonti e anche poveri noi. A nessuno piace pagare le altissime tasse pagate da chi non le evade. Ma un primo ministro responsabile deve chiedere al suo ministro del Tesoro di far pagare le tasse a tutti, di impegnarsi a fondo nel combattere l’evasione fiscale. Chiedergli invece di ridurre le tasse equivale a far salire il nostro debito pubblico oltre ogni limite di sostenibilità . Come ha scritto su queste colonne Massimo Mucchetti, «questa volta ha ragione Tremonti» . Che non deve dare le dimissioni come ha già  fatto in passato, ma invece resistere. Per cacciarlo a forza Berlusconi rischia di dover affrontare una crisi di governo. Gli conviene?


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