Se Gheddafi usa i migranti come arma da guerra
Almeno 1500 morti dalla fine di marzo, quando sono cominciate le partenze dalla Libia. Le cifre della fuga dalla guerra hanno la dimensione dell’ecatombe. I barconi in partenza dalla Tripolitania si rompono, vanno in avaria, si perdono: ormai, a leggere freddamente le statistiche, un immigrante su dieci non arriva. La percentuale è raccapricciante e ci pone di fronte a una serie di interrogativi: perché tutti questi naufragi? perché tutti questi morti? Il numero di vittime nel Canale di Sicilia è molto maggiore che in passato. Prima, i naufragi erano una fatalità . Ora sono la norma. Prima le tragedie avvenivano, ma erano determinate da circostanze eccezionali. Oggi, non fanno più notizia.
Diversi fattori possono spiegare questo incremento. Il principale è che l’attraversamento del mare non è più un business regolato dal mercato. Non risponde più alle leggi della domanda e dell’offerta. Prima gli organizzatori delle traversate avevano interesse a che i viaggi andassero a buon fine. La giostra doveva continuare a girare, gli affari dovevano andare avanti. A differenza della retorica in voga sulla riva nord, che condanna scafisti e trafficanti, questi ultimi sono considerati dai viaggiatori semplici fornitori di servizi, non sempre onesti, ma abbastanza affidabili da potersi mettere nelle loro mani: così, le carrette non erano poi così malmesse, il numero di passeggeri non era mai spropositato; il comandante aveva sempre un Gps. Il viaggio, per quanto duro e pericoloso, era regolato da una serie di accortezze che rispondevano alla ricerca di un equilibrio preciso: massimizzazione dei profitti, limitazione dei rischi.
Oggi, non è più così. Dai barconi che si vedono in queste ultime settimane arrivare a Lampedusa, dai racconti di quanti sbarcano sull’isola da quelle barche che sembrano cattedrali galleggianti, si capisce che la situazione è cambiata. I viaggi non sono più organizzati da persone che lavoravano da anni nel settore. Sono gestiti direttamente dagli uomini di Gheddafi. Il prezzo è calato. Molti raccontano addirittura di essere stati imbarcati gratis. Altri sostengono che sono stati costretti a salire contro la propria volontà . Lo scopo principale non è più il profitto, ma la necessità di trasmettere l’impressione dell’invasione. Così, i barconi sono stipati anche con 800-900 persone sopra. Così, spesso non sono così stabili. Così, i naufragi aumentano. Messo sotto assedio dalle bombe della Nato, il rais libico si difende usando gli immigrati letteralmente come arma di guerra. Li lancia come missili contro le coste italiche. E i missili non sempre arrivano.
L’Italia, per bocca del ministro degli esteri Frattini, ha condannato questo uso perverso degli immigrati da parte del regime libico. Ma non ha agito di conseguenza: nel campo di Choucha, al confine libico-tunisino, ci sono circa 5000 rifugiati in attesa di essere portati da qualche altra parte. Alcuni sono lì da tre mesi, da quando sono cominciati i disordini in Libia. Nel campo ci sono gigantesche tensioni: solo la scorsa settimana la sezione abitata dagli eritrei è stata incendiata, con quattro vittime. Molti immigranti, di fronte alla situazione di impasse, stanno tornando in Libia per salire sui barconi gentilmente offerti dal regime di Tripoli. I paesi della Nato – che formalmente fanno la guerra a Gheddafi per «proteggere i civili» – non accettano di accogliere questi immigrati sul proprio territorio, se non in percentuali insignificanti. Così, le partenze continuano. E i morti aumentano.
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