«La filosofia vende, se investe il qui e ora» Angelo Mastrandrea PARIGI

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PARIGI – Ci sono diversi motivi per rimanere colpiti da un mensile che vende, ex novo e in tempi di crisi della carta stampata, 55 mila copie. Il primo è che, appunto, mentre i media di tutto il mondo fanno registrare da anni il segno meno, chiunque riesce a invertire la tendenza stimola a un’inchiesta sulle ragioni del successo editoriale. Il secondo è che il giornale in questione si chiama Philosophie magazine, e da che mondo è mondo guadagnarsi il pane filosofando non è mai stata impresa facile. Il terzo, ma lo scopriremo cammin facendo, è che vendere un giornale con la filosofia è una scelta controcorrente non seconda a quella di snobbare decisamente il web.
Ci sarebbero altrettanti motivi per cui qualcuno potrebbe storcere il naso e criticare l’operazione editoriale, gli stessi che probabilmente sono tra le ragioni del successo di Philosophie magazine: il fatto che per tono e contenuti può andar bene a qualsiasi tipo di lettore, di destra come di sinistra, e di presentarsi come un giornale patinato.
Il direttore si chiama Alexandre Lacroix, ha 35 anni ed ha al suo attivo sette romanzi di discreto successo e quattro saggi, insegna scrittura creativa all’università  parigina di Sciences Po e dirige per la casa editrice L’Herne una collana intitolata «Carnets anticapitalistes», che pubblica testi filosofici di riflessione e ricerca di alternative al modello neoliberale. L’appuntamento è in un caffè di rue Ballu, a duecento metri dal Moulin Rouge e cinquanta dalla redazione di Philosophie.
Partiamo dalle cifre. In Francia i giornali quest’anno hanno perso mediamente il 7%. Un calo che pare inarrestabile.
Secondo me è facile da spiegare. I motivi che spingono a comprare un giornale sono da sempre gli stessi: sapere cosa accade nel mondo. Oggi però questo tipo di notizie non hanno più valore commerciale e non rappresentano un motivo sufficiente per comprare un giornale. Oggi l’informazione è come l’aria, non è gratuita da produrre ma gratuita da consumare. È come un’infrastruttura della società , un bene pubblico che in quanto tale non è a pagamento. Sulla Libia e sull’incidente di Fukushima, per fare due esempi, l’informazione più interessante era quella che arrivava in tempo reale, e la stampa questo ovviamente non può farlo. Il tempo del quotidiano in questi casi si è dimostrato troppo lento. Questo significa che, in una logica capitalistica, la maggior parte della stampa non ha più valore perché la materia prima e il prodotto finale non valgono più nulla. Viceversa, quanto accaduto con Wikileaks rende evidente il nuovo ruolo della stampa. Sono stati pubblicati 250 mila cables, anche leggendone mille al giorno, e ci vorrebbero nove ore, una persona normale impiegherebbe un anno intero a leggerli tutti. Questo caso eclatante mette in evidenza il fatto che spesso c’è troppa informazione. Il ruolo della stampa oggi è quello di fare da filtro e di dare un’interpretazione all’overdose di notizie. Ancora: quello che dimostra il caso Wikileaks, dove è stato Assange a chiamare il Guardian e il New York Times, è che non sono i giornalisti a trovare le notizie, come avvenne ai tempi del Watergate, ma sono chiamati a interpretarle.
Philosophie guadagna invece il 15% rispetto ai risultati già  straordinari degli scorsi anni. Quali sono le radici del successo?
Nel contesto globale la filosofia è un modo di trattare l’informazione e ha un vantaggio sulle altre scienze umane perché può parlare di tutto: scienza, ecologia, sesso. Nemmeno la sociologia è così aperta. Quando abbiamo creato Philosophie, l’idea non era quella di fare un giornale sulla filosofia, ma sull’attualità .
La formula si è rivelata subito vincente.
Sì. Abbiamo cominciato come bimestrale nel 2006, e al primo numero abbiamo venduto 52 mila copie. Dopo sei mesi siamo diventati mensile e ci siamo stabilizzati sulle 40 mila. Ora siamo oltre le 55 mila, con 20 mila abbonati, e siamo stati votati da direttori e caporedattori degli altri giornali «magazine dell’anno 2010».
In tutto il mondo i giornali investono sul web, pur non essendo riusciti a trovare una formula che consenta di guadagnarci. Voi cosa ne pensate?
Anche in Francia va di moda il cosiddetto bi-media, l’abbinata sito-giornale su carta. Io credo che sia un grande errore: si tratta di lavori differenti. E poi non si possono ripartire i benefici su più media. Ti faccio qualche esempio. La pubblicità  su Philosophie è appena il 5%, e questo ci dà  un’indipendenza totale. Se stai solo sul web invece non puoi che dipendere dagli investitori pubblicitari, che sono l’unica fonte di incassi. Noi non abbiamo investito nulla sul web, pubblichiamo qualche pezzo d’archivio e vendiamo i vecchi numeri, circa 5 mila al mese. Abbiamo però un vantaggio, che interpretazioni filosofiche dell’attualità  non si trovano sul web.
Ora state pensando di esportare la formula di Philosopie in Germania. Non avete pensato anche all’Italia?
In Italia c’è una difficoltà : non tutti hanno studiato la filosofia, mentre in Francia hanno tutti una preparazione filosofica di base. Inoltre, noi possiamo intervistare indifferentemente filosofi di destra o di sinistra se riteniamo che abbiano da dire qualcosa di interessante su un argomento. Lo stesso per quanto riguarda la religione. Questo è possibile perché in Francia si può interloquire con chiunque. In Italia invece no, perché ci sono la Chiesa e Berlusconi. Se la vedi da un punto di vista economico, questo significa che il nostro lettorato potenziale è più ampio e non così diviso come da voi.
Una curiosità : in quanti siete a fare Philosophie magazine?
12 persone in totale, di cui 5 giornalisti.


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