Lavori precari, redditi bassi, genitori in difficoltà  economica. Ecco perché per la maggior parte dei giovani comprare casa resterà  solo un sogno

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È il mondo di chi già  ora vive in affitto, coabita, fa crescere le comunità  di cohousing, universitari, coppie, ma anche neo-famiglie e, a sorpresa, sempre più professionisti all’inizio della carriera. Ma tra questi c’è anche chi la casa l’ha perduta

In Italia ci sono sette milioni di persone tra i 18 e 34 anni che vivono ancora in famiglia Perché, magari con una laurea in mano, ci si ritrova al massimo con mille euro al mese. Chi cerca di diventare autonomo deve accontentarsi di coabitare. E il sogno di mettere da parte qualcosa diventa una vera sfida Molti non possono accettare contratti lontano dalla loro città  perché i salari sono troppo bassi Gli inglesi la chiamano “generation rent”, la generazione in affitto

Perché incapace di rispettare mutui e impegni stipulati prima della crisi, quando magari il lavoro c’era e anche un po’ di risparmi accantonati con fatica giorno dopo giorno. Tutto bruciato. La “generazione rent” dicono gli economisti sta portando ad un cambiamento radicale del concetto di proprietà , un problema europeo ma anche molto italiano. Infatti. L’Italia è il paese dei piccoli proprietari (74% delle famiglie possiede le “quattro mura”) ce l’hanno fatta anche i baby boomers a comprarsi una casa, adesso però il sogno è finito, per i figli la strada sarà  ardua, come dimostra un recentissimo studio firmato dalla Cgil e dal Sunia, il Sindacato Nazionale degli Inquilini, dal titolo emblematico «La casa nel percorso di autonomia delle nuove generazioni».
Partendo da alcuni numeri fondamentali: nel nostro paese ci sono 7 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono ancora in famiglia. Il 60% di questi percepisce un reddito mensile inferiore ai mille euro. E i cosiddetti «milleuristi», secondo una proiezione dell’Università  Cattolica di Milano, saranno nei prossimi anni almeno 15 milioni di famiglie. «E se teniamo conto che l’affitto medio di un trilocale nella zona semicentrale di una grande città , non è inferiore ai 1100 euro al mese, e che in 10 anni il costo delle case è aumentato del cento per cento – spiega Laura Mariani, responsabile delle Politiche Abitative della Cgil – si capisce come per un’enorme fetta della popolazione non solo l’acquisto, ma anche l’affitto, siano diventati una sfida impossibile».
Con l’aggravante che per gli italiani la casa è famiglia, cultura, radici, legame antropologico con le origini. Per questo la “generazione rent” nel nostro paese rischia di pagare un prezzo più alto che altrove. «Sia per un affitto che per stipulare un mutuo si chiedono garanzie ormai impossibili per oltre il 60% della popolazione, in particolare i giovani, che hanno redditi incerti e lavori precari. Il mondo è cambiato – afferma Laura Mariani – ma sia i proprietari degli appartamenti che gli istituti di credito si comportano come se fossimo ancora nell’Italia del posto fisso… Per uscire da questa morsa, che costringe i giovani a restare in casa ben oltre l’età  adulta o fa precipitare le famiglie sotto la soglia di povertà  perché strozzate dai canoni di locazione, si deve rilanciare l’edilizia sociale, quella delle cooperative, dei prezzi equi. Ma anche per le case popolari si è passati dai 35mila alloggi del 1985 ai 2000 di oggi, mentre le domande degli aventi diritto sono oltre 600mila».
E se è vero che i ragazzi italiani sono un po’ più familisti dei loro coetanei nordeuropei, è vero anche che l’83% dei giovani che vivono in famiglia vorrebbe andarsene al più presto. Perché? Desiderio di indipendenza economica, voglia di sposarsi o convivere, spinta al misurarsi da soli con la vita. «Ma la rigidità  del mercato immobiliare – aggiunge il demografo Alessandro Rosina, che al tema del “blocco” dei giovani ha dedicato più di uno studio – fa sì che nel nostro paese anche la “generazione rent”, che potrebbe trovare lavoro muovendosi, spostandosi, accettando incarichi e contratti lontano da casa, non può cogliere queste occasioni perché i salari sono troppo bassi rispetto agli affitti». Si calcola infatti che per poter affrontare un canone da 1000 euro al mese, se ne dovrebbero guadagnare 2500 per non finire sul limite dell’indigenza. «Per noi – dice ancora Rosina – entrare nell’era in cui la casa non è per sempre è davvero uno strappo culturale, a cui i trentenni non sono preparati. Sono figli di una tradizione familiare dove fino a 15 anni fa il percorso preordinato prevedeva lavoro sicuro, matrimonio e casa di proprietà , magari con diversi decenni di mutuo. Caduta però la rete di protezione di nonni e genitori, e senza un welfare pubblico di supporto, i giovani adulti si sentono in uno stato di fragilità  che li porta a posticipare tutto: convivenze, figli, l’età  adulta insomma».
Addio al mattone dunque? A giudicare dalla nuova corsa selvaggia all’edificazione che in pochi anni ha stravolto molte periferie urbane, sembra di no. Ma non saranno certo quei 15 milioni di persone con mille euro al mese di stipendio, a potersi permettere i nuovi condomini chiavi in mano degli hinterland metropolitani. Eppure, aggiunge il sociologo Vanni Codeluppi, dentro questa “generazione rent” ci sono frammenti e fermenti di cambiamento. «È vero, l’impoverimento della classe media ha generato per i ragazzi un modo di vita assai meno sicuro di quello dei loro genitori. Ma le soluzioni – ipotizza Codeluppi – sono in sintonia con l’idea di flessibilità  e nomadismo che è propria di un mondo giovanile che con l’incertezza sa di dover convivere. Spartire un affitto, coabitare, vuol dire mescolare esperienze, non essere chiusi, in fondo è la stessa globalizzazione della Rete».
In effetti in tutto il Nord Europa come negli Stati Uniti, il cohousing è una realtà  consolidata, un modo di fare famiglia tra le categorie più diverse, gli anziani, le mamme sole, nuclei familiari che si aiutano tra di loro. E diverse “comunità  abitative” sono nate a Milano, in Piemonte, in Emilia Romagna, sia come condivisione affitti, che come veri e propri gruppi d’acquisto di case-villaggio. Mentre sono attivissimi i siti che propongono agli studenti e ai giovani lavoratori appartamenti in cui abitare in più persone, piccole tribù che si incontrano sul web. Basta scorrere “Easystanza” o “Coinquilini. it”, dove sul modello del francese “Colocation” (130 mila richieste al giorno), o il britannico “Easyroommate” (due milioni e 700mila giovani iscritti), migliaia di studenti hanno trovato casa, scegliendo però i coinquilini attraverso dettagliate schede, dove si precisa, anche, l’orientamento sessuale.
«La famiglia d’origine – conclude Codeluppi – è un porto sicuro, ma poi bisogna andare via, spiccare il volo. È troppo importante per la formazione di un giovane, ed è davvero punitiva questa resistenza del mercato che blocca il desiderio di autonomia. È però vero che in Italia c’è bisogno di un salto culturale, spesso sono i genitori stessi a non spingere i ragazzi fuori. Ma la famiglia-nido è un modello in crisi, e non soltanto per fattori economici, a giudicare dal numero delle separazioni e dei divorzi: in realtà , come affermano alcune teorie, le società  occidentali avanzate si stanno tribalizzando, nel senso di una vita a gruppi, dove ciò che conta sono i legami tra soggetti, tra individui, non per forza uniti dai legami di sangue».

 


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