Se tramonta il mito del Nord padano
Non solo nelle tradizionali zone di forza – l’Emilia Romagna e le regioni del Centro. Ma anche altrove. In molte aree del Sud e del Nord. Solo che ce n’eravamo scordati. Perché dopo il 2006 – e ancor più dopo il 2008 – il centrosinistra è arretrato dovunque. Ma soprattutto nel Nord. “Espugnato” dalla Lega. Che alle Regionali del 2010 è penetrata anche nelle “zone rosse”. Così si è imposto il mito del “Nord padano”. Un concetto entrato nel linguaggio comune. E insieme si è affermata la convinzione che il centrosinistra sia troppo “romano” per essere accettato e creduto nel Nord. Un’idea, peraltro, non infondata. Che, però, indica una deriva. Non un destino. Così, fra gli attori politici e gli elettori di centrosinistra, si è diffuso un inferiority complex nei confronti della Lega. Considerata come unica e ultima erede dei partiti di massa. In grado di “presidiare” il territorio. Il voto ha ridimensionato, in modo brusco, questi sentimenti. Soprattutto nel Nord. Dove i partiti di governo hanno subito le sconfitte più brucianti. Non che altrove le cose, per loro, siano andate meglio. A Napoli, in particolare. Dove però da quasi vent’anni governava il centrosinistra. Ma è nel Nord padano che sono avvenuti i mutamenti più rilevanti. A partire da Milano, la capitale della Seconda Repubblica. Senza dimenticare Trieste, che solo Riccardo Illy, in passato, era riuscito a “sottrarre” alla destra. Oppure Novara, la capitale leghista, il feudo di Cota, governatore del Piemonte.
Ma il cambiamento del Nord sconfina ben oltre i luoghi simbolici del centrodestra e della Lega. Basti esaminare il bilancio dei comuni maggiori (con più di 15mila abitanti) dove si è votato: 133 a livello nazionale. In precedenza, 73 erano amministrati dal centrosinistra e 55 dal centrodestra. Gli altri da giunte di segno diverso. Ebbene, in queste elezioni il centrosinistra ne ha conquistate altre 10. Il centrodestra ne ha perse 17. Di cui 14 appartengono al Nord “padano” (con l’esclusione, cioè, dell’Emilia Romagna). Dove, tra le città al voto, il centrodestra ha fatto eleggere solo 8 sindaci, mentre prima ne aveva 22. Mentre il centrosinistra, parallelamente, è passato da 17 a 29.
Se analizziamo il risultato ottenuto dai partiti (al primo turno) questa impressione si rafforza ulteriormente. Nei comuni del Nord padano dove si è votato, infatti, il Pd ottiene il 27%. Come alle precedenti Comunali, ma con un incremento di 2 punti rispetto alle Regionali di un anno fa. Mentre i partiti di governo sono slittati vistosamente, rispetto al voto del 2010. La Lega di quasi 5 punti (si ferma al 10,9%). Il Pdl addirittura di 8. Oggi si è attestato sul 22,5%. Così, nelle città del Nord al voto, il Pd è divenuto il primo partito. Rispetto al passato recente, si tratta di una novità evidente.
Altro aspetto rilevante, il successo delle liste di sinistra – su tutte Sel. Non solo perché in grado di imporre il proprio candidato a Milano, ma perché, in generale, ha conseguito un risultato più che doppio rispetto alle Regionali (4,6%). Anche in termini assoluti. Inoltre, va segnalata la crescita elettorale del Movimento 5 Stelle, promosso da Beppe Grillo, che supera anch’esso il 4% dei voti validi. Questi dati certificano la pesante sconfitta del centrodestra e il parallelo successo del centrosinistra nel Nord. Ma, in assenza di analisi più approfondite, è difficile ricavarne significati chiari. Semmai, alcune ipotesi, che provo a tratteggiare di seguito.
1. Anzitutto, emerge il limite del “Nord padano”. Definizione imposta dalla Lega per “unificare il Nord”. Contro Roma e contro l’Italia. Torna, invece, a essere evidente come vi siano “diversi” Nord. Per retroterra sociale ed economico, ma anche per rappresentanza politica.
2. In particolare, si delinea l’orientamento specifico delle città maggiori. Hanno abbandonato il centrodestra. Tutte le capitali di regione (senza considerare Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta) oggi sono governate dal centrosinistra. Tutte. Compresa la capitale per eccellenza. Milano. E il centrodestra, in questa tornata elettorale, è arretrata anche nelle città medie e nei capoluoghi di provincia. Ma si può rappresentare e governare “un territorio” restando esclusi dalle capitali?
3. Il centrodestra soffre di una crisi di consenso per molti versi nuova. In passato, infatti, Lega e Pdl disponevano di un bacino elettorale comune. Edmondo Berselli lo aveva definito, con un neologismo efficace, “forzaleghismo”. Così, le crisi della Lega corrispondevano alla ripresa di Forza Italia. E viceversa. Oggi non è più così. Quel bacino è esondato. E i due partiti hanno perduto entrambi.
4. Anche perché Forza Italia non c’è più. Al suo posto, il Pdl, che aggrega anche An. Ha una base elettorale in prevalenza centro-meridionale. La Lega, a sua volta, ha assunto un’identità governativa. Infatti, esprime i sindaci di centinaia di Comuni, i presidenti di 14 Province e 2 Regioni. E sta nel governo, a Roma. Insieme a Berlusconi. Usa un linguaggio da opposizione dura e comportamenti pragmatici e tradizionali. Anche a livello locale, dove, con i propri uomini, ha occupato enti amministrativi e finanziari. Ma la distanza fra comportamenti e parole è troppo stridente per non saltare agli occhi degli elettori.
5. Nel Nord è in atto una profonda trasformazione economica e sociale. Ha scosso alle fondamenta il sistema finanziario, la grande e la piccola impresa. Ha modificato le basi demografiche e gli stili di vita della società . Molte zone, che fino a poco tempo fa si consideravano al sicuro dalla crisi, oggi si sentono vulnerabili. I metodi di rassicurazione fondati sulla paura del mondo e degli stranieri non rassicurano più. E i miti della Padania e dell’Uomo-che-si-è-fatto-da-sé non bastano più a dare risposte e identità al Nord.
6. Anche per questo, dopo alcuni anni, il centrosinistra è tornato. Per limiti altrui, ma anche per meriti propri. Perché dispone ancora di leader locali credibili ed esperti. Perché ha legami con la società civile ed è stato in grado di mobilitare la realtà locale. Perché le sue parole in questa fase appaiono meno aliene di quelle del centrodestra. Altruismo, bene comune, solidarietà incontrano più attenzione, nel senso comune, rispetto a individualismo, paure, interessi. L’estremismo “moderato” e aggressivo di questi tempi, infine, ha stancato.
7. Circa l’eterogeneità delle coalizioni e il peso della cosiddetta sinistra radicale, conviene rammentare che raramente, in passato, queste differenze hanno provocato crisi locali. Perché sindaci e governatori sono eletti direttamente dai cittadini e dispongono di una legittimazione forte. E perché è più semplice trovare l’accordo sui temi concreti della società e del territorio che sui principi non negoziabili. La vita e la morte. La pace e la guerra.
8. Da questo passaggio elettorale, il centrosinistra esce rafforzato. Ma deve trarne le giuste indicazioni. In primo luogo: il Pd non può pretendere di essere partito dominante, né tanto meno unico. Ma è, indubbiamente, il riferimento obbligato di ogni coalizione. Non bisogna, poi, scambiare le consultazioni locali con quelle nazionali. Anche se l’Italia è un Paese di città e regioni. E tutti i cambiamenti politici, sociali e culturali sono avviati e annunciati a livello territoriale. Infine: guai a rassegnarsi, al “complesso del reduce”. Allo “sconfittismo”.
Se è possibile vincere a Milano e nel Nord, allora nulla è impossibile. Neppure a livello nazionale.
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