Le vere sfide dell’agricoltura

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Mi rivolgo in particolare ai molti economisti agrari rintanati nelle logiche della domanda e dell’offerta, nel mito del libero mercato, della crescita, e delle piattaforme internazionali. Se è lecito attendersi un cambiamento dagli economisti, ebbene, il vostro momento è arrivato. Con una facilitazione: la teoria del full cost (nel calcolo dei costi di produzione occorre tener conto anche delle esternalità , positive o negative a seconda dei casi) già  esiste. Perché non viene resa nota? Perché non diventa una buona pratica nel determinare il valore del lavoro agricolo? C’è un’occasione preziosa: la riforma della Politica Agricola Comune, che da mesi il commissario Dacian Ciolos continua a riassumere in un mantra che chiede di conciliare competitività  e sostenibilità .
Questo è il nocciolo del cambiamento. Se la competitività  smette di essere basata sulla rapina delle risorse e si fonda invece sulla cura delle risorse medesime, allora gli economisti devono mettere i piedi nel piatto e dire al mondo: fermi, riscriviamo le regole, perché quelle vecchie non hanno funzionato. Certo, le regole le scrive la politica; ma le riflessioni che stanno alla base delle leggi devono arrivare da studiosi ed esperti che formulino le nuove esigenze.
E dunque chiediamoci: cosa fa un agricoltore? Produce patate, frutta, carne o latte. Cosa fa un agricoltore che produce in modo sostenibile? Produce patate, frutta, carne o latte e intanto si prende cura del paesaggio, della salubrità  delle acque su cui impatta, della fertilità  del suolo che utilizza, della salute della sua comunità , del patrimonio di cultura e saperi che quella comunità  nel tempo ha accumulato. È per tutti questi motivi che il primo passo della rivoluzione deve consistere nel cambiare la domanda. Non ci interessa più capire quanto costa produrre patate, frutta, carne o latte, ma vogliamo sapere invece quanto rende e chi ne beneficia e, dunque, come “ringraziare”, in termini di remunerazione, quell’agricoltore. L’agricoltore beneficia della vendita del prodotto, ma tutti quanti beneficiamo degli effetti positivi che il suo modo sostenibile di lavorare produce. Se pretendiamo di non pagare per tutto il resto, allora presto l’agricoltore si stancherà , perché produrre in modo sostenibile richiede maggiori competenze e maggiore fatica, e inviterà  i suoi figli a fare un altro mestiere e lascerà  che i suoi campi vengano asfaltati.
E come si fa a remunerarlo? Se il consumatore finale dovesse pagare nel prezzo del prodotto anche i benefici collaterali che il prodotto ha comportato, il prezzo sarebbe esorbitante. Ma tutto quel lavoro è competenza del ministero delle Politiche Agricole e di tanti altri ministeri insieme: quello del Turismo, quello della Salute, quello della Cultura, quello dell’Educazione, quello della Ricerca. Ecco il secondo passo da compiere: la competenza sul cibo non è di un solo ministero, ma di tutti. Dei governi. Un pezzetto del lavoro che i governi dovrebbero fare lo stanno già  facendo gli agricoltori.
Visto che è soprattutto l’economia a dettare legge in questo Paese, voglio ancora parlare agli economisti: chiedete nuove regole, dimenticatevi delle borse merci, del meccanismo domanda/offerta, dei futures e fate saltare il tavolo. Quello che dovete fare ora è trovare un sistema per far sì che l’agricoltura sostenibile sia ripagata.
Stiamo chiedendo al mondo della produzione di elaborare nuovi paradigmi, che tengano conto di quello che Enzo Tiezzi chiama “il capitale naturale”, terzo elemento che viene a scardinare lo schema classico del marxismo, per il quale la produzione si fondava su capitale e lavoro, mentre ogni produzione utilizza risorse che non sono del proprietario del capitale.
Stiamo chiedendo al mondo del diritto di elaborare nuovi paradigmi per normare i cosiddetti beni comuni, quelli che non possono rientrare né nel diritto pubblico né in quello privato, e allora urge che qualcuno si sieda intorno a un tavolo e si inventi un sistema diverso, perché le “cose di nessuno” diventino “di tutti”.
Infine, stiamo chiedendo alla politica di elaborare nuovi paradigmi per dar ragione delle connessioni che ci sono tra le varie attività  e per non dimenticare che il cittadino cui essa si rivolge è sempre lo stesso: quello al quale un ministero dice di mangiare più frutta e un altro dice di bere soft drinks colorati senza succo di frutta; quello al quale un ministero dice che occorre ripartire dallo sviluppo dei territori e un altro dice che non è più il caso di studiare geografia… Un cittadino al quale il ministero delle Politiche Agricole e Forestali, avanti di questo passo, rischia di non dire più niente, mentre gli agricoltori restano sempre più soli, in balìa di una crisi senza precedenti.


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