Un sms (anche cancellato) è per sempre il telefonino diventa una scatola nera

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MILANO – Il telefono la tua voce, il telefono la tua croce: nel senso che c’è sempre una «X» su di te, se vai in giro con il telefonino. È diventato come la scatola nera degli aerei. Traccia la tua rotta geografica, conosce i tuoi segreti e i tuoi dialoghi, non perde la memoria dei tuoi contatti. Chi possiede il tuo telefonino stringe nel pugno una parte della tua vita. Non sono esagerazioni. Dal grand guignol che è diventato lo strangolamento della giovane Sarah Scazzi ad Avetrana alla finta allegria delle ragazze di via Olgettina che frequentavano la villa di Silvio Berlusconi, dalle nuove inchieste sulla ‘ndrangheta al Nord alla povera fine di Yara Gambirasio, sono i telefonini ad aiutarci a dire che cosa è successo, o cosa potrebbe essere successo.
Un tempo, per quanto uno fosse povero, aveva un paio di scarpe, per uscire di casa e cercare lavoro. Oggi, per quanto uno non abbia un euro da scialare, possiede un telefonino. Persino nelle tragedie dell’immigrazione, nelle storie dei barconi affollati di disperati e affondati, è un cellulare che non manda più messaggi a indicare l’ecatombe. Prima ai parenti, poi ai soccorritori.
Il cellulare, se funziona, è collegato alla cella delle antenne delle telecomunicazioni. È simile a una lucina sempre accesa nella nostra tasca. Quando noi ci spostiamo, passiamo di cella in cella, e l’antenna lo sa. Se mandiamo un sms, se chiamiamo, pronti via: l’antenna esaudisce al volo quello che le nostre dita cercano sulla tastiera. Lo sa per chiederci i soldi delle tariffe, ma lo fa. E se un essere inanimato come l’antenna lo fa, qualcun altro può saperlo: e questo qualcuno, autorizzato dalla magistratura, sono i detective delle forze di polizia.
Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori, com’è noto, aveva raccontato ai pubblici ministeri, sorprendendoli, del bunga bunga e del Sanbitter che aveva servito a un premier circondato da ragazze nude. Ma aveva dichiarato: «Da minorenne sono stata nella villa San Martino di Arcore tre volte». Verità  parziale: controllando i telefonini, s’è scoperto che era stata dieci giorni, per interi weekend. Ogni telefonino è come un «pentito» in grado di raccontare ai detective dov’eravamo e persino con chi eravamo.
Per di più, ogni telefonino d’ultima generazione è come un piccolo computer. «È come essere seguiti dall’uomo invisibile, fa risparmiare un sacco di soldi in trasferte, benzina e fogli di viaggio. Ma il punto – racconta un investigatore – non è solo questo. Anni fa, per proteggere la privacy, è stato deciso che le compagnie non possono più conservare i messaggini che le persone si scambiavamo, e che erano tenute a conservare per quattro anni. Quindi, del contenuto dei messaggini non dovrebbe esserci traccia, restano solo gli scambi, cioè quante volte tizio e caio si sono scambiati un sms. Va bene, a volte può bastare. Ma se io riesco a mettere le mani su un telefono, se posso sequestrarlo, che succede? Che trovo di tutto. Sia perché le persone conservano in memoria qualche cosa a cui si affezionano, sia perché molti telefonini sono come computer. E quello che viene cancellato, con qualche operazione, noi lo sappiamo recuperare».
E finché lo fanno giudici e poliziotti, ci può stare. Il problema è quando un nostro telefonino finisce nelle mani di un haker o di un professionista dei «furti d’identità », di uno che può conoscere della nostra vita dettagli intimi, professionali, politici. «C’è gente – raccontano alla polizia postale – che s’è trovata ad accendere prestiti che non ha mai chiesto, e solo perché nel telefonino ha lasciato tracce di chi è e che cosa fa».
Non sarà  quindi un caso che nella malavita più organizzata ci sia una nuova abitudine vagamente chic. Negli anni Settanta c’erano i portatori di pistola, perché i gangster di rilievo non amavano sformarsi le giacche di cachemire con il peso dei revolver, né farsi trovare il «ferro» addosso nelle “perquise”. Adesso sono in voga i portatori (spesso le portatrici) di telefonino. Persone che tengono con loro, sempre acceso, e senza guardarlo mai, senza usarlo mai, il telefono del boss. Hanno il «puntello», il posto dove trovarsi. Aspettano che il malavitoso controlli i messaggi e faccia le sue telefonate, riprendono il telefonino e salutano. Vanno per una strada, lasciando solo, e lontano dal «giocattolo» che può dire ai detective dove si trova, e che cosa sta facendo, il loro criminale datore di lavoro. Che fatica vivere avendo qualche cosa da nascondere.


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