Fiori, scioperi e spogliarelli la guida creativa alla rivoluzione

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 Con cento paginette che analizzano le fonti del potere, i punti deboli e 198 possibili metodi non violenti per rovesciarlo. Una sorta di ju-jitsu politico il cui principio cardine è: «Se un numero sufficiente di subordinati si rifiuta di collaborare abbastanza a lungo e nonostante la repressione, il sistema oppressivo si indebolirà  fino al collasso». Più Bartleby, con il suo «preferirei di no», che Che Guevara. Con la vittoria conquistata senza tirare una pietra, a differenza di The Anarchist Cookbook di William Powell, l’altro libello sovversivo che festeggia quest’anno il quarantennale, e ha ispirato schiere di invasati, dal Timothy McVeigh dell’attentato a Oklahoma ai terroristi dei metrò di Londra. Gandhi contro Bin Laden, insomma, in guerra sugli scaffali.
Il testo del professore americano è stato scritto nel ’93, come contributo teorico alla resistenza birmana. Chiunque ne fosse trovato in possesso rischiava sette anni di carcere. Di fotocopia in fotocopia il manualetto arriva nei Balcani in lotta e ispira Otpor, il movimento giovanile che scalzerà  Milosevic. In Ucraina lo adottano gli «arancioni». Hugo Chà¡vez cita l’autore come nemico del popolo. A Teheran gli ayatollah lo fanno passare come agente della Cia. Tante strepitose recensioni involontarie. Sino all’adozione nelle recenti rivoluzioni arabe. Scrive Sharp che «liberarsi dalla dittature è possibile se c’è un’attenta pianificazione strategica». Freedom House gli dà  ragione: dall’83 al 2009 i paesi «non liberi» nel mondo sono scesi da 64 a 42. Cita Aristotele («oligarchia e tirannide sono le forme di governo più temporanee») e lo verifica nella storia: per batterle in Polonia ci sono voluti 10 anni, nell’Iran dello scià  qualche mese, in Germania Est poche settimane. Questione di tempo. E di morti, ovviamente, ma mai quanti se ne sarebbero contati seguendo la via armata.
Lo scienziato politico suggerisce gradualità , «cominciare con azioni a basso rischio, pensate per accrescere la determinazione negli individui» (tipo vestirsi tutti in maniera diversa dal solito). Di soppesare bene le forze: «Con pochi partecipanti si potranno posare fiori in un luogo simbolico. Con tanti, optare per 5 minuti di paralisi totale, silenzio o sciopero della fame». Se vi sembra una propedeutica scontata, teletrasportatevi dal comfort delle vostre poltrone all’ansiogena condizione del cospiratore cui un solo errore può risultare fatale. E capirete perché ai leader dei movimenti di liberazione brillano gli occhi di gratitudine a sentirlo nominare. Ognuno ha messo in pratica un certo numero dei metodi elencati nell’appendice. Che comprende, oltre ai classici, «scritte in cielo», denudazioni di protesta, deliberata esposizione alle intemperie, ostentazione di ritratti simbolici, ritiro totale dei depositi bancari, darsi malato al lavoro (sick-in), sino all’Hartal, la serrata gandhiana degli uffici o lo sciopero lisistratico, ispirato alla commedia di Aristofane in cui le donne rifiutavano il sesso ai mariti soldati sino a quando non fosse firmata la pace.
Un catalogo creativo da cui si desume che la violenza, ingiusta per definizione, è anche terribilmente noiosa. Il «ricettario anarco-insurrezionalista» scritto nel ’71 da un giovane arrabbiato con lo Stato che voleva mandarlo in Vietnam, insegna come produrre esplosivi con acido nitrico e materie prime acquistabili dal ferramenta, oppure a sabotare una rete telefonica. Niente teoria, solo prassi, aggiornata negli anni da ignoti volontari. E applicata da una lunga lista di esaltati, dai Weather Underground che Philip Roth racconta in Pastorale americana, ai folli che fanno saltare in aria le cliniche dove si praticano aborti. Un pubblico tanto imbarazzante da convincere Powell a chiederne il ritiro che però l’editore rifiuta. Oltre alle versioni web, potete trovarlo da Amazon. Ma se volete sapere come si passa dall’indignazione ai fatti, evitando stragi e galera, la lettura non violenta è l’unica consigliata.


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