El General, un rap contro i dittatori “Canto la rabbia della rivoluzione”
ROMA – Lo hanno chiamato “la voce della rivolta”. Per il settimanale Time è uno dei 100 uomini più potenti della terra: 63simo nella classifica 2011, prima di Barack Obama e Xi Jinping, il presidente cinese designato. Nei video è avvolto dalla bandiera tunisina, in volto un’espressione truce: ma a guardarlo da vicino Hamada Ben Amor è un giovane normale, pantaloni larghi e aria da ragazzino per bene. Eppure a lui il destino ha affidato un compito speciale: dare voce alla rabbia di una generazione intera. Hamada, o El General come è meglio noto, è il rapper più famoso del mondo arabo. In questi mesi le sue canzoni hanno risuonato dalle piazze di Tunisi a quelle del Cairo, raggiungendo Sana’a e Manama. «Ho messo in musica quello che la gente pensava: ho chiesto libertà e giustizia. Per questo in tanti si sono riconosciuti nella mia musica. Ho mischiato politica e note: per chi fa rap è un fatto normale». Avvenuto però in un momento speciale.
Ventuno anni, di Sfax, tre ore da Tunisi, prima di essere El General, Hamada è il più giovane di 4 figli di una normale famiglia tunisina: padre medico, madre libraia. Nessuno fra i suoi aveva mai prestato particolare attenzione alla musica fino a quando, 3 anni fa, lui non ha cominciato a suonare, ispirato dall’americano Tupac Shakur e dai rapper francesi. Qualche piccolo successo qua e là , poi il boom di novembre. «Ho scritto questa canzone, Raìs Lebled (presidente della Repubblica in dialetto tunisino, ndr) – racconta alla vigilia del suo primo concerto romano, organizzato dal Collettivo pace e solidarietà internazionale di Rifondazione comunista e da Action-diritti in movimento – ci ho messo dentro quello che vedevo: la rabbia della gente, dei giovani prima di tutto. Fare musica in pubblico mi era già stato vietato, perché parlavo di politica. Così l’ho messa su Internet: ed è stata un successo immediato».
Le note sono quelle tipiche del rap: bisogna scorrere il testo per capire il segreto di Raìs Lebled. «Signor presidente della Repubblica, parlo a nome della gente che muore di fame, ma vorrebbe lavorare e vivere. Esci in strada e guardaci: siamo diventati animali: la polizia ci picchia, aggredisce le donne, non c’è più giustizia. Vieni in strada, guardaci: voglio farti piangere».
Così El General cantava a novembre. Il 17 dicembre il venditore ambulante Mohamed Boazizi si dava fuoco a Sidi Bouzid, accendendo il fuoco della rivolta in Tunisia. Il 24 Hamada Ben Amor veniva arrestato con l’accusa di sovversione. «Volevano sapere chi avevo dietro, chi mi spingeva: non avevano davvero capito nulla», ricorda oggi.
Da allora sembra passato un secolo: la pressione della folla, scesa in strada cantando Raìs Lebled, ha portato alla sua liberazione prima e a quella della Tunisia dopo. «Come tutti gli altri, sono rimasto sorpreso – dice il rapper – non mi aspettavo che saremmo davvero riusciti a cacciare Ben Ali. È stato il destino: la tensione e la paura accumulate in 23 anni sono esplose tutte insieme». Poi l’onda si è diffusa: l’Egitto è stato il primo a far risuonare le note di El General in Piazza Tahrir, altri Paesi lo hanno seguito. Il rapper è diventato la voce e il volto della rivolta.
Oggi è noto in tutto il mondo: passa da un concerto in Europa a uno nel mondo arabo, dove è una star di prima grandezza. «Mi rendo conto di essere una specie di portavoce – spiega – ed è una grande responsabilità . Quando ascolti migliaia di persone cantare in strada la tua musica è chiaro che qualcosa è successo, che non è più solo musica tua».
Sul futuro ha le idee chiare: «È una fase delicata – spiega – ma andrà bene. In Tunisia, ad esempio: chiunque vinca alle elezioni di luglio sarà meglio di Ben Ali». Islamici compresi, sostiene: «Voi occidentali dovreste smettere di avere paura. Io sono un musulmano: ma canto e suono. L’ho fatto anche quando tutti mi dicevano di tacere, perché era pericoloso. Essere un musulmano non vuol dire essere un terrorista».
Per chi guarda con ansia alla “sua” sponda del Mediterraneo, El General ha un messaggio: «Aiutateci a gestire questa transizione, ma poi non venite a dirci cosa dobbiamo fare: saremo amici su basi paritarie. Tutti vogliamo la pace». Un messaggio più preciso lo riserva per le prossime canzoni: «Le critiche stavolta saranno per gli Stati Uniti e per Israele: ma anche per voi italiani. Che aspettate a svegliarvi? Forse anche a voi serve una canzone: ve la scriverò». Promessa di generale, anzi di El General.
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