La Nato affonda otto navi del raìs Gheddafi in tv, i figli in fuga

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Da giorni, da settimane, le navi militari libiche che la Nato ha affondato ieri notte erano negli archivi elettronici dell’intelligence alleata. Se ieri alla fine i cacciabombardieri della coalizione hanno avuto l’ordine di colpirle è per due ragioni: innanzitutto perché un minimo di attività  la marina militare di Gheddafi stava provando a rimetterla in piedi, con la preparazione di un nuovo tentativo di minare le acque intorno al porto di Misurata. Poi perché il “copione” degli attacchi militari contro il regime libico a questo punto prevedeva un nuovo colpo clamoroso, da esibire a chi a Tripoli continua a resistere attorno al colonnello Gheddafi., 

E in effetti le immagini diffuse dalla Raf delle navi bombardate nei porti di Tripoli, Sirte e Qoms sono ancora una volta soprattutto questo: un segnale politico e psicologico. Nel comunicato di ieri pomeriggio l’Alleanza spiega che sono stati colpiti altri centri di comando e controllo, ma anche un’officina in cui venivano assemblati grandi gommoni utilizzati per seminare mine attorno ai porti controllati dai ribelli. Il controammiraglio Russell Harding spiega che «vista l’escalation nell’uso della forza navale, la Nato non ha avuto altra scelta che passare ad un’azione di forza per proteggere la popolazione civile della Libia e le forze marittime dell’Alleanza».
Ma sono soprattutto le immagini delle navi in fiamme ad essere utili alla Nato per rovesciare il gioco della propaganda libica. L’altra notte era stato girato un nuovo video di Gheddafi, con alle spalle uno schermo televisivo con la data del 18 maggio: il colonnello incontrava il suo inviato appena rientrato da una missione diplomatica in Russia.
Le operazioni in Libia continuano quindi seguendo un copione sperimentato. La novità  sono le nuove conferme del fatto che pezzi del regime e della famiglia Gheddafi hanno abbandonato il paese. La moglie Safia, la figlia Aisha e altri due figli sono effettivamente fuggiti da Tripoli; la conferma è arrivata dal segretario di Stato Usa Hillary Clinton. 
Ieri a Roma una cerimonia al Nato Defence College è stata invece un’occasione per un punto di situazione politico fra il presidente Napolitano, il governo e il segretario generale della Nato Rasmussen. Dice Napolitano che «con pazienza la legittimità  internazionale avrà  la meglio in Libia, la missione è già  riuscita con successo a prevenire una dura repressione e massacri di civili». Sia il ministro degli Esteri Franco Frattini che quello della Difesa La Russa hanno confermato che – se non tutto il governo – perlomeno i loro due dicasteri sono totalmente schierati con la guerra Nato contro Gheddafi. Tanto che è molto probabile che siano state informazioni di intelligence italiane a permettere alla Nato di bloccare ieri la petroliera “Jupiter” che provava a scaricare in Libia 15.000 tonnellate di benzina raffinata. La Jupiter aveva imbarcato il suo carico in Sardegna, alla Saras, la raffineria italiana che già  altre volte gli uomini di Gheddafi hanno provato ad utilizzare per comprare carburante aggirando le sanzioni Onu. Adesso la Jupiter è nel porto tunisino di Zarzis, mentre altre petroliere del governo libico vagano nel Mediterraneo in attesa di provare a caricare per poi spostarsi verso uno dei porti controllati dal colonnello.


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