La principessa senza il velo

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Pochi strumenti risultano tanto molesti, avvilenti quanto il velo integrale indossato da certe saudite. Basta sperimentarlo: offusca la vista, distorce la prospettiva, obbliga l’essere umano a un navigare incerto attraverso un mare di ombre. Perciò poche immagini fanno tanto scalpore nel regno dei Saud quanto quella, liberatoria, della principessa Adila, figlia prediletta di re Abdullah, gloriosa con un triangolo di chiffon grigio appena poggiato sulla chioma cotonata, la bella faccia scoperta, e con indosso una lunga giacca in broccato rifulgente di colori, schiusa sul petto e leggermente avvitata.

Perché applaudire la fotografia come una «prima assoluta» degna di approdare, nientemeno, sull’Huffington Post, di essere ritwittata migliaia di volte con il titolo di «breaking news» da quando l’ha lanciata Sultan Al Qassemi, commentatore arabo molto seguito? Il fatto è che Adila bint Abdullah, già  nota per l’impegno riformista, per avere infranto con il suo presenzialismo la tradizionale riservatezza femminile nel suo Paese, per lo spirito battagliero col quale si oppone alla separazione dei sessi nei luoghi pubblici, nonché al divieto alle donne di guidare l’auto, stavolta osa l’ennesima sfida. Si fa ritrarre nelle vesti che meglio esaltano l’armonia del corpo, sia nel taglio sia nei colori. La sua è una rivoluzione contro il velo corvino e l’abaya, il mantello altrettanto plumbeo considerato obbligatorio a partire dai 13 anni d’età , largamente interpretato come il simbolo lampante dell’oppressione femminile nei deserti dell’Hejaz. 
Intervistata da Le Figaro a proposito del dibattito sul niqab, il velo che scopre soltanto gli occhi, la principessa è chiara: «Il niqab è questione di tradizione più che di fede. Meglio l’hijab, che copre i capelli, più in sintonia con l’Islam. Ma ogni donna dev’essere libera di scegliere».
Il gesto, volutamente pubblico, della delfina del re coincide col fermento che anima parte di quella società : con le prime, timide mosse di apertura nel riformare le leggi e il governo, e il desiderio di un numero crescente di ragazze prese a reinventare l’abito per meglio rispecchiare la propria personalità . Già  a Riad come a Jedda fioriscono boutique con proposte di abaya fluorescenti, leopardate o decorate con cristalli Swarovski.
Tutto questo irrita gli ultraconservatori, estensori di fatwe sull’obbligo dei mantelli scuri e informi. Quasi che ridefinire la veste femminile decidesse l’esito delle prime libertà  personali concesse dal regno. «Ci vorrà  tempo», dice la principessa, «bisognerà  trovare un equilibrio con chi si oppone, ma non ammetteremo ostacoli in nome della religione».


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