Sul caso Thyssen Confindustria non sa cosa dire
“Non conosco la dinamica dell’incidente”. Questa frase apparentemente banale l’ha pronunciata ieri, in un’intervista a La Repubblica Salomone “Samy” Gattegno, manager dal curriculum prestigioso, da tre anni responsabile del Comitato per la sicurezza della Confindustria. à‰ lui la massima autorità confindustriale in tema di morti sul lavoro. E non sa come sono morti i sette operai della Thyssen bruciati vivi la notte del 6 dicembre 2007.
Gattegno, che in tre anni e mezzo non si è preso la briga di andare a Torino a chiedere ragguagli, è l’immagine plastica dell’imbarazzo della Confindustria e del modo all’apparenza scoordinato con cui sta gestendo il clamoroso infortunio di sabato scorso a Bergamo.
Le critiche all’assurda ovazione innocentista delle Assise confindustriali sono state unanimi. Partiti di opposizione e di governo, ministri, sindacalisti di tutte le sigle, hanno trovato la mossa quantomeno di dubbio gusto. La presidente Emma Marcegaglia, ideatrice della passerella trionfale per Harald Espenhahn, l’amministratore delegato della Thyssen Krupp condannato a sedici anni e mezzo per omicidio volontario, è rimasta senza parole.
L’IMPRENDITRICE di Mantova ha cercato di uscire dall’imbarazzo mettendosi privatamente in contatto con Antonio Boccuzzi, unico operaio sopravvissuto alla strage e oggi deputato Pd, e chiedendogli di poter incontrare i familiari delle vittime. Dalle indiscrezioni fatte filtrare con arte su qualche giornale pare che voglia spiegare come effettivamente sono andate le cose a Bergamo.
Sferzante la replica di Graziella Rodinò, madre di Rosario, morto bruciato a 26 anni perché Espenhahn aveva ritenuto più conveniente rinviare l’installazione del sistema antincendio automatico lungo quella linea di laminazione dell’acciaieria: “Se desidera incontrarci, va bene. Vogliamo che ci ripeta in faccia che le condanne sono troppo alte”.
La Confindustria ha cercato di fronteggiare le critiche sostenendo che è stato tutto un fraintendimento. Tesi complicata da sostenere per la presidente che ha voluto la brillante operazione di sostegno alla Thyssen Krupp, la multinazionale tedesca che praticamente tiene in piedi da sola la Confindustria dell’Umbria, e che all’indomani della sentenza di Torino aveva chiesto in modo perentorio di essere difesa dall’organizzazione.
Così Marcegaglia ha fatto un passo indietro e il gioco del cerino ha designato Gattegno che a Bergamo non c’era. à‰ stato costretto ad arrampicarsi sugli specchi raccontando cose che non ha visto, ma molto convinto della linea innocentista della sua organizzazione. “Ha perfettamente ragione la presidente – ha dichiarato – Non c’è alcun paese europeo che abbia condannato per omicidio volontario un manager di un’azienda in cui si è verificato un incidente mortale. Quando tutti noi comuni mortali parliamo di omicidio volontario pensiamo a qualcuno che tira fuori la pistola e ti spara”.
SE GATTEGNO, anziché fare il comune mortale, si fosse informato come i doveri del suo ufficio imporrebbero, avrebbe scoperto che c’è una giurisprudenza (sicuramente opinabile) per cui non c’è bisogno di estrarre la rivoltella per commettere un omicidio volontario . Può bastare addirittura il taglio di un budget, hanno stabilito i giudici di Torino.
L’imbarazzo confindustriale ha comunque prodotto almeno tre versioni dei fatti di Bergamo, che per completezza vanno riferite.
Prima versione, consegnata da Gattegno a la Repubblica: “Espenhahn ha detto che il suo gruppo continuerà a investire in Italia, paese nel quale vive con la sua famiglia. I suoi figli – ha detto – parlano meglio il dialetto ternano che il tedesco. Su questo punto è scrosciato l’applauso”.
Seconda versione, data a caldo dalla Marcegaglia: il problema della sentenza Thyssen è che “se una cosa di questo tipo dovesse prevalere potrebbe allontanare gli investimenti esteri dall’Italia e mettere anche a repentaglio, in qualche modo, la sopravvivenza del nostro sistema industriale”. Curioso che avesse detto queste cose subito dopo le rassicurazioni di Espenhahn sul punto (vedi prima versione).
TERZA versione, data dal giornalista Oscar Giannino che dirigeva i lavori di Bergamo. Presentando il manager condannato ha commentato la sentenza che l’ha colpito: “à‰ un unicum sinora in Italia, un unicum in Europa. E a quel punto ho aggiunto: la mia personale opinione è che questa svolta giudiziale della volontarietà omicidaria apra una strada per la quale, cari imprenditori, vi sarà sempre più difficile trovare manager in grado di accettare l’idea di esporsi a vent’anni di galera come se volessero assassinare i vostri e loro dipendenti. à‰ a quel punto che si è scatenato un fortissimo applauso”.
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