«Un ex carabiniere mi diede il pizzino anti De Gennaro»
PALERMO— «Mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto a mia conoscenza» , recita all’inizio come impone la formula di rito. Ma nell’aula del tribunale, ormai, tutti nutrono dubbi sulla credibilità di Massimo Ciancimino. Dagli imputati che non gli hanno mai creduto (l’ex generale dei carabinieri Mario Mori, e il colonnello Mauro Obinu, accusati di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano), ai loro avvocati, ai giudici che attraverso le domande fanno trasparire le proprie perplessità , fino ai pubblici ministeri che l’hanno richiamato a testimoniare dopo averlo arrestato per calunnia. Però con le dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo bisogna fare i conti, anche per capire chi e che cosa c’è dietro alle sue bugie e ai documenti manomessi. Per la prima volta Ciancimino jr depone da detenuto, dopo venti giorni di galera che gli hanno scavato il volto ma non scalfito l’ironia. Quando i pubblici ministeri, per esigenze d’indagine, lo invitano a tacere il nome di chi gli avrebbe consegnato il foglio con l’aggiunta posticcia del nome «De Gennaro» che gli è valso la seconda accusa di calunnia verso il capo dei servizi segreti, lui risponde: «Allora lo chiamo Mister X. Oppure Topolino, come volete» . Ripete quello che ha già riferito agli inquirenti: un anno fa, ad aprile 2010, un signore lo avvicinò dicendogli di avere documenti autografi di suo padre, fornendogli una diversa ricostruzione dei rapporti fra Stato e mafia a cavallo delle stragi del 1992 e invitandolo a non testimoniare più nel processo contro Mori: «Mi spiegò che mio padre e il generale erano vittime della trattativa, condotta da altri soggetti: De Gennaro, Mancino, Amato e altri ancora» . Ecco dunque accomunati, in questa nuova versione che stride con le precedenti e con altre acquisizioni, l’ex poliziotto oggi responsabile dei Sevizi, l’ex ministro dell’Interno e l’ex direttore delle carceri che — racconta ancora il giovane Ciancimino — diventò avvocato di «don Vito» nella seconda metà del ’ 93, «su consiglio del generale Mori» (il quale nega). Sono nomi che l’ex sindaco mafioso gli aveva già fatto, sostiene Massimo, e quel signore presentatosi come ex carabiniere aggiunse particolari che lo convinsero della sua attendibilità . Era stato autista del generale dell’Arma Paolantoni (morto nel 1989) poi divenuto capo dei vigili urbani di Palermo; su di lui sono in corso accertamenti. Massimo Ciancimino dice di averlo incontrato 4 o 5 volte, e l’uomo gli consegnava o gli spediva i documenti. Tra cui quello truccato col nome «De Gennaro» estratto da un altro scritto del padre, anch’esso fornitogli da «Mister X» . «Voleva che consegnassi tutto ai magistrati, e io l’ho fatto» , racconta Massimo, dipingendosi come una pedina di giochi altrui. Ai pm coi quali nell’aprile 2010 collaborava da due anni ha raccontato bugie: non solo dicendo di aver visto suo padre scrivere il nome di De Gennaro, ma anche di aver trovato quelle carte in casa. Perché? «Mister X mi aveva chiesto di lasciarlo fuori, e molti di quei documenti io li avevo già visti in mano a mio padre» , risponde Ciancimino jr. Il racconto dell’uomo, insomma, gli sembrava verosimile, e così ha accettato di mentire. Un po’ poco per apparire credibile, e il detenuto aggiunge: «Mi aveva promesso uno scritto autografo di De Gennaro recapitato a mio padre, che mi avrebbe salvato dall’accusa di calunnia mossami a Caltanissetta. Mi ha riferito di una telefonata del presidente Napolitano al procuratore di quella città , e avvertito di un progetto di attentato ai miei danni, consigliandomi di allontanarmi da Palermo» . Anche su questo Ciancimino jr non ha detto nulla agli inquirenti e ai poliziotti che lo proteggevano: «Il prefetto di Palermo aveva proposto di revocarmi la scorta, avrei peggiorato la mia posizione» . Preferì confidarsi con due giornalisti amici. E quando ha ricevuto a casa 50 candelotti di dinamite (così racconta) accompagnati da una richiesta di soldi per il boss Matteo Messina Denaro e minacce complete di fotografia del figlio, ha distrutto il biglietto e nascosto l’esplosivo in giardino. Di una parte dei candelotti s’è disfatto con l’aiuto di un amico, finché alla vigilia Pasqua è stato arrestato. Oggi dà una versione ancora diversa rispetto al primo interrogatorio reso da recluso perché «mia moglie mi ha convinto a dire tutta la verità a costo di andarcene a vivere in Papuasia» . Finita la deposizione Massimo Ciancimino torna in carcere, l’imputato Mori a casa convinto di aver assistito a un’altra sceneggiata e i pubblici ministeri alle loro indagini, per capire se le nuove rivelazioni del figlio di «don Vito» possano avere qualche aggancio con la realtà .
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