Il doppio obbligo della Nato

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 Le unità  navali della Nato, come di qualsiasi paese e organizzazione, sono nell’obbligo di intervenire ogni volta che incrociano un natante in difficoltà . Lo dice il diritto del mare, tanto che la stessa Alleanza atlantica lo ribadisce nel suo comunicato di risposta, sostenendo per difendersi di non aver mai incrociato la barca carica dei 72 migranti (63 dei quali sono morti e 9 sopravvissuti bevendo le proprie urine e riuscendo dopo 15 giorni alla deriva a riguadagnare le coste libiche). In questo particolare caso, se le accuse fossero confermate, esiste in qualche modo un ulteriore obbligo morale: secondo la risoluzione 1973, approvata dal Consiglio di sicurezza il 17 marzo, la coalizione internazionale deve «usare tutti i mezzi necessari per proteggere i civili». Nel testo approvato al Palazzo di vetro, si parla di «zone civili minacciate da attacchi nella Jamahiriya araba libica». Ma è quantomeno curioso che una coalizione intervenuta per proteggere i civili lasci morire in mare altri civili che fuggono dalla stessa guerra. Da diversi resoconti, sembra che il regime di Gheddafi stia usando i migranti come arma di guerra. Li stia costringendo cioè a partire per creare disagi all’Italia e all’Europa. Proprio per questo i membri dell’Alleanza atlantica – e quelli dell’Unione europea – dovrebbero farsi carico dei cittadini sub-sahariani rimasti bloccati in Libia, e di quanti sono fuggiti in Tunisia e languono da mesi nei campi. Dovrebbero organizzare dei «corridoi umanitari» e accogliere i profughi. Altrimenti, assisteremo ad altri naufragi. E la «guerra umanitaria», che già  miete vittime civili in Libia, sarà  ricordata anche per migliaia di morti in mare nel tentativo di cercare quella protezione teoricamente garantita dalle normative internazionali.


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