Il Pakistan si difende «Nessuna complicità  con Bin Laden»

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ISLAMABAD— Un Paese offeso, imbarazzato, sulla difensiva, frustrato e alla ricerca di riscatto. È a questo Pakistan in profonda crisi interna e d’immagine internazionale che il primo ministro Yousaf Raza Gillani ha provato ieri a rivolgersi dal parlamento. «Com’è stato possibile che Osama Bin Laden sia rimasto per lungo tempo nascosto nel covo di Abbottabad?» , si è chiesto Gillani nel primo articolato discorso pubblico di un alto ufficiale pakistano dal raid americano del 2 maggio. A questa domanda (che arriva del resto da tutto il mondo, con Stati Uniti in testa) ha risposto promettendo in tempi brevi un’inchiesta interna. Di un fatto comunque si è detto certo: «Sono assurdi i sospetti di complicità  o incompetenza dei nostri servizi d’informazione e dell’esercito. Noi rifiutiamo categoricamente accuse di questo tipo» . In buona sostanza Gillani rilancia così le tesi che a spizzichi e bocconi erano già  emerse dagli ambienti di governo e militari negli ultimi giorni. In primo luogo quella della condivisione delle responsabilità . «Il fallimento non è stato solo nostro, ma di tutti i servizi segreti che davano la caccia ai capi di Al Qaeda» , ha ribadito. Anzi, a suo parere le colpe pachistane sarebbero persino minori, visti i «nostri successi» nella guerra al terrorismo, «che resta una nostra priorità  nazionale» , riportati negli anni proprio dall’Isi (l’Inter-Services Intelligence, il potente servizio d’informazione) con la cattura o l’eliminazione di centinaia di agenti qaedisti. E per sottolinearlo ricorda che fu proprio l’Isi a passare alla Cia alcuni anni fa le coordinate (sembra i numeri del telefono cellulare) di uno dei «corrieri» di Al Qaeda, che avrebbe mantenuto i contatti tra Osama e i suoi fedelissimi e quindi permesso agli americani di individuare la palazzina di Abbottabad. Per suffragare le accuse di collusione con Bin Laden gli basta invece di ricordare i pachistani vittime della guerriglia estremista negli ultimi anni: «Circa 30.000 cittadini, inclusi donne e bambini, oltre a 5.000 soldati» . A leggere tra le righe, sembra chiaro invece che l’accusa agli americani di aver sbagliato nell’agire da soli nel blitz contro Bin Laden e il monito che ciò «non avvenga mai più» servano in realtà  per mettere in guardia l’India, il vero nemico di sempre. Evidente il monito: guai a voi se pensate di poter condurre un raid come quello dei Navy Seals per cercare di colpire in Pakistan i responsabili dell’attentato contro gli alberghi di Mumbai nel 2008. Ben più della rivendicazione del diritto all’autodifesa armata per lesa sovranità . Sostiene infatti Gillani: «Nessuno tragga conclusioni sbagliate. Qualsiasi attacco al Pakistan, aperto o nascosto, troverà  la nostra risposta decisa. Nessuno sottovaluti la capacità  delle nostre forze armate di difendere la patria» . Le prime reazioni in Pakistan sono comunque critiche. I commentatori sui maggiori media nazionali chiedono le teste del comandante in capo dell’esercito, generale Ashfaq Parvez Kayani, e dell’Isi, generale Ahmed Shuja Pasha. Le opposizioni pretendono inoltre le dimissioni immediate del governo ed elezioni anticipate al più presto.


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