Quando l’avversario è il simbolo del male
Nelle lingue indoeuropee innumerevoli sono le parole dell’ostilità , i nomi del nemico. Si lasciano raggruppare in grandi famiglie, a seconda che si riferiscano al combattere, all’odiare, all’essere estranei; contengono infinite sfumature di significati, descrivono le più varie contrapposizioni; in complesso, significano la dimensione di conflitto che pertiene alla vicenda umana, quella colpa originaria che sembra far sì che per convivere tra noi, gli amici, si debba al tempo stesso lottare per sopravvivere, contro gli altri, contro i nemici. Quelle parole ci dicono che la storia dell’umanità è intessuta di conflitti, e che l’umanità non vive senza nemico, anche se l’età moderna (con la significativa eccezione dei totalitarismi) ha cercato di spostarlo tutto all’esterno, nella guerra fra Stati, e, all’interno, di derubricarlo a concorrente, avversario, antagonista, oppure di trasformarlo in criminale, in violatore del diritto positivo. Ci dicono che l’immagine del Sé comprende quella dell’Altro, del Nemico, e che la nostra età globale non fa eccezione, anche se introduce importanti variazioni sul tema.
Ora che l’America ha simbolicamente sconfitto il proprio ultimo arci-nemico – cioè il terrorismo, nel suo capo – si può infatti valutare appieno quanto si siano trasformate la guerra e l’immagine del nemico, proprio se si paragona la fine di Osama Bin Laden con le fini degli altri nemici novecenteschi degli Usa, cioè del fascismo e del comunismo, e dei loro capi. Il primo è stato sepolto sotto la valanga apocalittica di ferro e del fuoco della guerra totale che ha scatenato; e i suoi capi, criminalizzati e giustiziati, sono stati inceneriti (con l’eccezione di Mussolini) e nascosti nel segreto della terra (dal quale solo Mussolini è stato strappato, dopo parecchi anni). Il secondo, sconfitto dalla superiorità economica, tecnologica e istituzionale dell’intero Occidente, vincitore della guerra fredda, è evaporato dopo anni di agonia, e i suoi ex-capi conducono oggi vite anonime, dimenticati da tutti.
Il terrorismo è (e ancora sarà , benché si trovi in difficoltà strategica) non un nemico di civiltà , come il fascismo, né un nemico di sistema, come il comunismo – e meno che mai un nemico convenzionale, come erano gli Stati l’uno per l’altro, prima dell’età delle ideologie – ; è un nemico biopolitico, ovvero una sorta di parassita cresciuto dentro alla globalizzazione, pervasivo come questa e – versatile, mutante e imprevedibile come un virus mortale – capace di attaccare le potenze territoriali, per colpirne la sostanza vitale: le popolazioni.
Il terrorismo è un nemico nuovo e complesso, nel quale precipitano e si trasfigurano molteplici immagini tradizionali del nemico. È un nemico asimmetrico, che da non-Stato si oppone agli Stati; ed è difficile da combattere, e da decifrare, in quanto non collocabile nella dicotomia moderna fra esterno e interno. In Bin Laden, e nel terrorismo, si fondevano e si confondevano interno e esterno, pubblico e privato, guerra e crimine.
Inoltre, in lui realtà e rappresentazione sfumavano l’una nell’altra: nemico reale – che tale si considerava e voleva essere considerato – dei “crociati”, che voleva cacciare dalla terra dell’Islam, era al tempo stesso anche nemico assoluto, teologico, delle potenze occidentali, che non voleva solo respingere, ma annientare, uccidendone i cittadini e demolendone i simboli. E quindi dai suoi nemici le sue fattezze erano iper-rappresentate, come quelle di un mostro di iperbolica ferocia; la sua immagine trapassava così in una sorta di spettro ubiquo, dall’infinito potenziale minaccioso. Bin Laden era quindi un nemico esistenziale e mortale, e al contempo un nemico fantasma. La sua dimensione mediatica – che riassumeva in sé le paure della nostra società percorsa da mille insicurezze, che oggi balla felice perché sente meno minacciata la propria vita – era tanto offensiva quanto quella materiale: per questo la sua uccisione ha dovuto implicare l’eliminazione della sua immagine attraverso la sparizione del suo corpo, disperso nel mare, in uno spazio mobile e globale che lo inghiotte e lo cancella.
In Bin Laden si sono sommate, ma anche confuse e modificate, tutte le qualifiche del nemico: anche la sua meritata connotazione di “nemico dell’umanità ” non lo rende simile al pirata, al quale tradizionalmente è attribuita: del pirata – che andava eliminato ma senza che il vincitore potesse celebrare il trionfo, poiché erano nemici “illegittimi” – non aveva infatti lo spirito di furto e di rapina. Allo stesso modo, del partigiano – altra figura di nemico irregolare – non aveva l’intrinseca politicità , la misura: Bin Laden era uno smisurato fanatico, sprofondato nell’abisso di una paranoica identificazione con Dio, il cui Giudizio egli voleva anticipare, uccidendo tutti i peccatori. E dunque, benché post-moderno e globale, era anche arcaico e totalitario come un cacciatore di eretici – finito a sua volta cacciato.
Nostra Ombra, il nemico è forse una dimensione insuperabile della politica; e certo, se l’umanità globale esige un nemico globale dell’umanità , in cui si assommino tutte le sue paure, con Bin Laden lo ha avuto. Benché non sia probabile, c’è da augurarsi che la sua morte restituisca alla politica, e quindi anche al nemico, fattezze più chiare e concrete, se non più umane.
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