«Nel Vangelo rispetto e silenzio prendono il posto della vendetta»
Per la morte di un uomo un cristiano non si rallegra. Questa dichiarazione della Santa Sede, dopo le manifestazioni di giubilo per l’uccisione di Osama Bin Laden, invita ad attenersi a ferme coordinate morali. Esse ammettono eccezioni? Valgono anche per Hitler, Stalin o per il cambogiano Pol Pot, responsabile della tortura e del massacro di circa due milioni (compresi bambini, donne e anziani) di suoi connazionali tra il 1975 il ’ 79? La risposta non è semplice. Se dopo la Shoah e la caccia ai gerarchi nazisti — valga per tutti il caso di Adolf Eichmann— bene e male sono stati ripensati, l’antica Grecia continua a ripetere i versi dell’aristocratico Teognide (VI-V secolo a. C.), caro a Nietzsche: si stringe il cuore a «chi subisce un grave danno» , ma «se può vendicarsi, si dilata» . L’invito del poeta è: colpire il nemico, senza tentennamenti. Del resto, Aristotele nell’Etica nicomachea attribuisce ai pitagorici la concezione della giustizia come contrappasso. La vindicatio era una virtù. Dopo la strage della notte di San Bartolomeo, nell’agosto del 1572, l’Oxford Dictionary of Popes riferisce che Gregorio XIII, al quale siamo debitori della riforma del calendario, fece celebrare liturgie di ringraziamento per l’avvenuto massacro. Bisognerà attendere Giovanni Paolo II nel 1997 per un atteggiamento diverso: «Dei cristiani hanno compiuto atti che il Vangelo condanna» . E il gesuita Juan de Mariana nel De rege et regis institutione (1599) sosteneva la liceità di uccidere un sovrano ogni qual volta, abusando del potere, danneggiasse patria, leggi o religione. La Rivoluzione francese, che ghigliottinò re e regina, fu talmente grata al religioso da trasformare in simbolo della repubblica la Marianna, ovvero femminilizzò il suo nome. Non sono che esempi. Ma oggi le prospettive sono mutate. Tornando all’intervento del Vaticano, ne abbiamo parlato con il filosofo Emanuele Severino. Ci ha confidato: «È comprensibile che gli americani e soprattutto i newyorkesi festeggino la morte di Osama Bin Laden. Ma è anche vero che questo comportamento è un retaggio dell’uomo primitivo. Al centro della festa arcaica, infatti, c’è il sacrificio, l’uccisione della vittima sacrificale ed espiatoria, che a volte è un essere umano, ritenuto colpevole, responsabile dei mali del gruppo sociale. In questo senso sono d’accordo con la dichiarazione della Chiesa che “di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai”» . Dopo una breve pausa, Severino prosegue: «Ma non sono d’accordo con René Girard, per il quale il cristianesimo sarebbe estraneo alla logica sacrificale. Perché è vero che Gesù, a differenza delle altre vittime, è considerato, nel cristianesimo, innocente; ma è anche vero che, per il cristianesimo, Gesù ha preso su di sé tutti i peccati del mondo e quindi è diventato il sommamente colpevole, che viene sacrificato, dalla giustizia divina, proprio in quanto colpevole e non in quanto innocente. Nella Seconda Lettera ai Corinzi, l’apostolo Paolo dice: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccatore in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”(5,21). E la cristianità festeggia la morte di Gesù, ovviamente lontano in modo abissale dalle vittime per se stesse colpevoli. Siamo in piena logica sacrificale» . Altre considerazioni ce le offre Giovanni Reale, storico del pensiero e filosofo: «Da un punto di vista puramente umano, e quindi riduttivo, tenendo presente la reazione emotiva e psicologica, si capisce la festa dopo la notizia, perché essa si collega al delitto terribile di migliaia di persone causato da Osama Bin Laden e anche alla “sconfitta”degli Usa dopo l’attacco dell’ 11 settembre. Ma cristianamente la posizione della Santa Sede ci ricorda che di fronte alla morte è necessario il rispetto e il silenzio, indipendentemente da chi è scomparso. Cristo ha perdonato coloro che in quel momento lo crocifiggevano e lo insultavano» . Reale aggiunge: «In tal caso occorre comprendere anche la complessità dell’animo umano di fronte a una scelta di questo genere e ricordo che un uomo, soltanto dopo una riflessione, può raggiungere la meta della posizione evangelica, che è la più ardua. Anzi, è una conquista; ed è tanto bella quanto difficile» . È altresì vero che il nostro tempo ha registrato il naufragio di tante certezze riguardanti la morte e la vita. Se i loro confini sono stati modificati da scienza e tecnica, la filosofia ha avuto modo di ripensare ancora di più le eterne questioni. Ha scritto Paul Ricoeur in un saggio de L’angoisse du temps présent: «Con l’orrore del silenzio degli assenti che non rispondono più, la morte dell’altro penetra in me come una lesione del nostro essere comune. La morte mi “tocca”» . Per questo, e per altri motivi, siamo chiamati a un silenzio di rispetto quando un uomo diventa «altro per gli altri» .
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