Il Cavaliere cita Osama e convince il Senatur “Gli obiettivi delle guerre hanno tempi lunghi”
ROMA – «La morte di Bin Laden vi fa comprendere come la guerra ha un obiettivo, ma a volte i risultati si possono raggiungere dopo anni», predica un Silvio Berlusconi diplomatico agli uomini di governo leghisti con i quali i rapporti, almeno telefonici, non si sono mai interrotti. Bossi continua a negarsi, «Umberto fa ancora l’offeso», si sfoga il Cavaliere al termine della lunga giornata milanese, volata via anche questa senza il faccia a faccia chiarificatore tra i due. Un incontro che in mattinata perfino dalla Padania avevano dato per scontato. Invece nulla. Ma l’intesa col Carroccio, quella è ormai dietro l’angolo. Il presidente del Consiglio – stretto tra l’udienza Mediatrade al Palazzo di giustizia di Milano e la cena con gli imprenditori a Villa Gernetto a sera inoltrata – tiene costantemente i contatti con ministri e capigruppo pidiellini a Roma. Rinfrancato, anche in chiave interna, dalla notizia che lo raggiunge all’alba dell’omicidio del leader di Al Qaeda. L’alleato tiene ancora per qualche ora la linea dura, si nega, ma Berlusconi se ne fa una ragione: «Sono scaramucce, a Umberto interessa solo fare il pieno in campagna elettorale, ma sono più che fiducioso» su un accordo sulla loro mozione. Lo è a tal punto che al vertice di maggioranza sulla Libia convocato per questa mattina, e al quale partecipano capigruppo Pdl, Lega e Responsabili prima del voto di domani, ha intenzione di presentarsi anche lui, al fianco di Roberto Calderoli. I preliminare dell’intesa sono stati messi a punto dallo stesso Cavaliere, sotto la regia di Letta, e subito prospettati ai ministri alleati. Troppo delicata la partita interna e internazionale, in questa fase. E l’offerta incontra l’apprezzamento del vertice del Carroccio riunito con Bossi e i suoi nel pomeriggio in via Bellerio a Milano. Intanto, la mozione dei lumbà rd, che fissava sei paletti sull’intervento italiano, non verrà emendata ma integrata con un paio di punti strategici. E, a sorpresa, il governo dovrebbe annunciare l’astensione, se non addirittura il via libera sostanziale, alla mozione del Pd sulla Libia. Che d’altronde, come non ha mancato di far notare Gianni Letta e non solo lui, ricalca il voto del 24 marzo in Parlamento e cioè i contenuti della mozione Onu 1973. Nulla osta, per il governo. Non così rispetto alle mozioni del terzo polo e dell’Idv, sulle quali il parere sarà invece contrario. Ma i nodi più spinosi si aggrovigliano attorno all’altra mozione, l’unica presentata da un partito di maggioranza. Due gli snodi chiave sui quali interviene la mediazione del premier. Rispetto alla richiesta leghista di una dead line all’intervento militare, la soluzione individuata e che sarà proposta al vertice di oggi è questa: fissare un periodo di tempo entro il quale dovrà essere realizzato un primo obiettivo nella campagna libica. Raggiunto il quale, il governo italiano si farebbe carico di chiedere agli alleati di valutare il passaggio all’opzione diplomatica. Già il 5 maggio, giovedì prossimo, quando il segretario di Stato americano Hillary Clinton sarà a Roma per la riunione del gruppo di contatto per la Libia, il ministro degli Esteri Frattini potrebbe concordare con la collega statunitense l’individuazione di un primo step temporale nella campagna contro il Rais. Su questo punto i vertici leghisti lasciano trapelare un sostanziale disco verde. Ma è su altre due questioni che il Senatur ha imposto ancora ai suoi la linea due. Immigrazione e divieto di nuovi tributi per finanziare la campagna militare. Ebbene, sul flusso dei disperati dal Nordafrica, la garanzia che Berlusconi avanza all’alleato – tramite i ministri leghisti – si basa a sua volta sulle rassicurazioni avute dai vertici del governo dei ribelli di Bengasi. Il Trattato di amicizia che era stato stipulato con Gheddafi, e che costituiva di fatto un argine sulla sponda libica, verrà ripristinato non appena il Muammar sarà spodestato in via definitiva e i ribelli prenderanno pieni poteri. Infine l’aspetto che, con l’immigrazione, forse sta più a cuore a Bossi: i costi delle operazioni militari. «Non voglio sentire di ulteriori tributi e altre spese, perché sono tutti soldi che state sottraendo al federalismo» tuonava ancora ieri in via Bellerio il Senatur. Anche su questo Berlusconi è convinto di poter rassicurare “Umberto” perché «stiamo usando solo dieci aerei e peraltro ne partono due al giorno, l’impatto finanziario è bassissimo. E il ricorso a truppe di terra è già escluso dalla mozione Onu». Garanzie che a breve il premier spera di poter dare di persona all’alleato. Quando Bossi accetterà di incontrarlo.
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