“Il raìs mente, continuate ad aiutarci”

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BENGASI – «Balle, quelle di Gheddafi sono tutte balle». Questo, il succinto commento di Abdel Hafiz Ghoga, portavoce del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi, alla richiesta di cessate il fuoco formulata ieri dal Colonnello. Le forze democratiche del Paese rifiutano la sua proposta di negoziati, non si fidano. Anche perché l’invito al tavolo delle trattative non è stato rivolto agli insorti della Cirenaica, ma soltanto a pochi Paesi della Nato. «È troppo tardi per trovare un compromesso», spiega Ghoga. «Per il popolo libico non è più concepibile un ruolo di governo per Gheddafi, poiché egli ha perso ogni credibilità . E poi, non è la prima volta che ci offre una tregua, per immediatamente calpestarla. Sta di nuovo giocando sporco e non parla con onestà ». Del resto, come potrebbero i rivoltosi libici credere alle parole di Gheddafi, nel momento in cui i suoi mercenari continuano a mietere vittime a Misurata, alla frontiera con la Tunisia e, da ieri, anche in un’oasi a sud di Bengasi. La situazione più drammatica è ancora nella città  martire, martellata dall’artiglieria del Colonnello da ormai due mesi. Una nave di aiuti umanitari è bloccata da ieri all’interno del porto e altre tre sono ferme al largo in attesa che la Nato completi l’operazione di bonifica di mine piazzate dalle forze lealiste. «Gli ordigni sono stati ancorati a un paio di chilometri dall’ingresso del porto che perciò è tuttora chiuso», racconta Fadel Moukadem, dell’organizzazione umanitaria Mercy Corps. Le navi ferme al largo sono sia piene di cibo per una popolazione ormai allo stremo, sia bastimenti noleggiati per caricare lavoratori migranti accampati a Misurata dall’inizio dei bombardamenti. Due giorni fa, dopo aver minacciato ogni nave in procinto di attraccare, il regime di Tripoli ha anche promesso un’amnistia agli insorti della «Sarajevo libica» se questi decidessero di rendere le armi. Ma anche questa promessa è stata rifiutata dai rivoltosi. «Troppi di noi sono stati massacrati in queste settimane: se ci arrendessimo adesso, sarebbe un affronto ai nostri morti», dice uno di loro, Idriss Mohammed. Anche ieri, gli obici sparati contro i quartieri residenziali della città  hanno falciato almeno dieci vite. Secondo la Mezzaluna rossa, dall’inizio dell’assedio il fuoco delle truppe del Colonnello ha provocato solo a Misurata 1500 vittime tra insorti e popolazione civile. Sul terreno va segnalato l’ingresso delle truppe di Gheddafi nell’oasi di Jalo, quasi 300 chilometri a sud di Bengasi. «Sono entrate con 70 veicoli e hanno ucciso 6 civili, prima proseguire in direzione della città  fantasma di Ajdabiya», ha detto un testimone. Intanto, le forze di Bengasi fanno sapere che presto attaccheranno il terminal petrolifero di Brega, infarcito di soldati lealisti, mentre ieri sera è ripresa la caccia al Colonnello, con tre nuovi raid sul suo rifugio bunker di Tripoli. Sempre ieri, infine, Mustafa Abdel Jalil, presidente del Comitato nazionale di transizione libico ha ringraziato l’Italia per l’aiuto dato sinora, e per il riconoscimento da parte del ministro degli Esteri, Franco Frattini, dell’organo politico della Libia democratica. «I primi contatti che abbiamo avuto sono stati con il vostro governo: l’Italia ci sta aiutando, ce ne ricorderemo», ha promesso Jalil.


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