“Porteremo la guerra in Italia” le nuove minacce di Gheddafi.

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Calderoli: “Timori di ripercussioni” Un’offerta di pace ai Paesi della Nato e una dichiarazione di guerra all’Italia. Dopo venti giorni il colonnello libico Muhammar Gheddafi torna a parlare in tv, seduto dietro a una scrivania, una stampa fotografica alle spalle e una risma di fogli a portata di mano a cui ricorre ogni qual volta perde il filo. È pronto a negoziare, dice in un discorso di 80 minuti trasmesso dalla tv di Stato alle 2.30 del mattino di ieri, e al contempo lancia un guanto di sfida. «Venite pure Francia, Italia, Regno Unito, America, venite, negozieremo con voi», esordisce. E poi incalza: «Mentite dicendo che uccido il mio stesso popolo. Mostrateci i corpi». Ma l’affondo più duro è per l’ex Paese alleato. «Dov’è finito il trattato di amicizia che non consente l’aggressione contro la Libia? Dov’è il mio amico Berlusconi? Avete chiesto scusa e come mai oggi ripetete l’invasione della Libia con i vostri aerei?» chiede all’indomani del 96° anniversario della battaglia di Gherdabia contro gli italiani e giorno dei primi raid delle forze tricolori. Concomitanza che non manca di cavalcare. «Il mio amico Berlusconi e il Parlamento italiano commettono un crimine. Chiaro che non esiste un Parlamento in Italia e tanto meno una democrazia. Il popolo italiano lo vede con chiarezza e vuole la pace, ma come potete mandare i vostri aerei a bombardare i libici nel giorno della ricorrenza della battaglia? Oggi come allora, l’Italia attua la stessa politica fascista e coloniale». Poi la minaccia: «Mi spiace dirlo ma ho sentito i giovani di Sirte gridare vendetta e volere trasferire la guerra in Italia perché l’Italia ha ucciso i nostri figli nel 1911 e li sta uccidendo anche oggi nel 2011. Ma hanno ragione e io non posso porre loro un veto». Provocazioni che, secondo fonti della Farnesina, però «non fanno altro che consolidare ulteriormente l’impegno e la determinazione dell’Italia a proteggere i civili libici». Tanto che i raid italiani continuano nonostante il malore di un pilota di un Tornado e il timore del ministro leghista Roberto Calderoli di «ripercussioni pesanti». Neppure l’offerta di pace alla Nato raccoglie maggiore credito. «La porta della pace è aperta. La Libia è pronta da adesso a un cessate-il-fuoco, purché non sia da una sola parte», dice Gheddafi offrendo anche contratti alle società  petrolifere occidentali, ma precisando subito la sua condizione: «Non lascerò il mio Paese. O libertà  o morte. Nessuna resa. Nessun timore. Nessuna fuga». Intanto un raid delle forze alleate prende di mira tre obiettivi – compresa una torre televisiva – proprio nei pressi degli studi della tv Al Jamahiriya da dove il leader libico sta parlando tanto che la trasmissione si oscura ben tre volte e la ricezione risulta più volte disturbata. «Abbiamo bisogno di azioni, non di parole», commenta più tardi un funzionario dell’Alleanza da Bruxelles. «La Nato continuerà  le sue operazioni finché tutti gli attacchi e le minacce contro i civili non cesseranno». Scetticismo condiviso anche dai ribelli che Gheddafi nella sua consueta retorica aveva definito “terroristi”. «È impossibile trattare con Gheddafi perché non è sincero», replica in serata il loro capo Jalil proprio mentre le forze del Colonnello assaltano Jalo aprendo un nuovo fronte a Sud.


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