Una strategia della crescita

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Lo stesso presidente Berlusconi appare sempre più insofferente. Si chiede al ministro dell’Economia di riconoscere la necessità  e l’urgenza di una maggiore crescita— esigenza economico sociale per il Paese, esigenza anche politica per la maggioranza— e di facilitarla allentando un po’ il controllo del disavanzo pubblico. Tremonti ha ragione. Non è creando più disavanzo che si genera una crescita solida. E non possiamo permetterci quel disavanzo in più, dato il nostro grande debito pubblico, lo sguardo severo dei mercati, la vigilanza più stretta introdotta dall’Unione Europea. Ma anche i suoi critici hanno ragione. L’Italia ha davvero bisogno di crescere di più. Tra il 2000 e il 2007 il Pil è aumentato del 7 per cento (meno della metà  del decennio precedente), mentre l’area dell’euro è cresciuta circa del doppio. Nel biennio 2008-09 la crisi ha determinato una riduzione del Pil di 6,5 punti percentuali, mentre gli altri Paesi dell’area ne perdevano in media 3,5. Il divario perdura nell’attuale fase di ripresa. Sbagliano, però, a premere su Tremonti perché faccia una politica di crescita con lo strumento, inutile e pericoloso, del disavanzo. E sbagliano anche coloro che, alla ricerca di un revamping della politica economica del governo, suggeriscono «scosse» o «frustate» . La crescita sana e durevole si ottiene spiegando ai cittadini e ai mercati la politica economica alla quale il governo intende attenersi, mantenendola nel tempo e rendendola così credibile. E qui si arriva, a mio parere, alla vera carenza dimostrata, sul terreno economico, dalla maggioranza di centrodestra nell’azione di governo condotta inizialmente nel 1994 ma soprattutto dal 2001 in poi, ad eccezione del 2006-08. Una carenza ben visibile in coloro che oggi sono insofferenti nei confronti di Tremonti perché fa seriamente e bene il ministro del Tesoro; ma visibile anche— mi permetto di dire— nello stesso Tremonti, se si guarda alla sua attività  di regista della politica economica italiana, un ruolo accentuato dalla sua cultura, dalla continuità  nell’incarico e dal relativo distacco mostrato dal Capo del governo. Nel 1994, dopo decenni di consociativismo, che pure avevano dato anche risultati positivi, l’Italia aveva bisogno di una grande depurazione dalle incrostazioni corporative, destinate a pesare ancor di più nel contesto della competizione globale sempre più dura. All’inedita maggioranza di centrodestra sarebbe stato più facile operare in questa direzione, innovativa per l’Italia, di una moderna economia di mercato, con poteri pubblici meno invasivi che in passato, regole chiare e fatte rispettare da autorità  pubbliche, ma indipendenti dalla politica.
Meno barriere all’entrata, meno privilegi e rendite per gli inclusi, più possibilità  di ingresso per gli esclusi e per i giovani, più spazio al merito e alla concorrenza: questi gli ingredienti di un’economia più competitiva, di una maggiore crescita, di una società  più aperta, più inclusiva, più equa. Purtroppo, questo impegnativo disegno non è stato voluto con continuità ; ancor meno è stato realizzato. Questi nodi sono venuti al pettine nel «Programma nazionale di riforma» , che il governo sta per presentare alla Ue nell’ambito della «Strategia 2020» . Il documento, a firma Berlusconi-Tremonti, contiene analisi tecniche approfondite ma è carente, alquanto confuso, poco ambizioso e con una scarsa articolazione operativa, proprio in quello che doveva essere il suo cuore: la strategia politico-economica delle riforme. È comunque, questa, un’occasione da cogliere per indurre gli italiani a guardare un po’ di più al futuro del Paese, della società , dell’economia. È una riflessione che deve coinvolgere non solo i politici, ma l’intera classe dirigente. Le Commissioni Bilancio del Senato e della Camera, con una serie di audizioni, hanno dato un importante contributo iniziale. La stessa maggioranza, nell’approvare alla Camera il Programma, ha impegnato il governo «a favorire lo svilupparsi di un’ampia discussione pubblica sulle riforme strutturali necessarie ad incrementare la produttività , la competitività , l’occupazione e la crescita» . Le mozioni delle opposizioni, pur con accenti molto critici, contengono anch’esse prospettive e proposte interessanti. Il Corriere della Sera, da oggi, darà  un proprio contributo a questo impegno collettivo, animando un dibattito sulla Strategia 2020 e sulle riforme necessarie e possibili per rendere più competitiva l’economia e più inclusiva la società  del nostro Paese. 


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