Immigrazione.Il ritorno degli egoismi nazionali

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Secondo il quotidiano olandese “provvedimenti populisti come i controlli alle frontiere sono solo simbolici”. Sarebbe invece più efficace “riconoscere la responsabilità  comune per le frontiere esterne dell’Europa e mettere in atto una politica di asilo e di immigrazione comune. Molto meglio che tornare indietro di 26 anni”, a prima degli accordi di Schengen.

In un’intervista a Nrc Hugo Brandy del Centre for european reform spiega che la “crisi di Schengen è paragonabile a quella della moneta unica”, in quanto “sia la libera circolazione che l’euro si basano sulla fiducia reciproca. Alcuni paesi hanno tradito questa fiducia e sono arrivate le sanzioni. In entrambi i casi viene da chiedersi se la crisi rappresenti un passo indietro o se acceleri l’integrazione”.

Le Monde prende le difese degli accordi di Schengen, messi in dubbio da un flusso migratorio “non di ‘proporzioni bibliche’, come lo ha definito Parigi, ma sicuramente importante”:

“Stipulata negli anni ottanta ed essenzialmente pensata per i movimenti migratori interni all’Europa, la convenzione di Schengen è, con l’euro, uno dei traguardi più importanti raggiunti dall’Europa: una moneta comune e l’abolizione delle frontiere: due simboli molto forti. Tuttavia bisogna adattare Schengen ai flussi migratori attuali. Ciò vuol dire che bisogna aiutare gli stati come Italia, Grecia e Spagna, situati ai limiti dell’Ue e incaricati di regolare i flussi migratori. Senza dubbio è necessario che l’Ue adotti una strategia d’investimento, aiuto e credito a lungo termine per i suoi vicini meridionali, affinché la ‘primavera araba non inneschi un aumento dell’immigrazione. Ma tutto ciò ha un costo, e questo rappresenta un grosso problema in una Ue dove l’idea stessa di solidarietà  finanziaria rinforzata non è mai stata così tabù. Una lettera franco-italiana a Bruxelles non sarà  sufficiente”.

Su La Stampa lo storico Gian Enrico Rusconi sottolinea che l’attuale “vicenda mediterranea-libica” segna la fine ufficiale della “triangolazione Italia-Francia-Germania che ha condizionato gran parte della storia europea”.

“La Germania è ripiegata su se stessa. La Francia gioca le sue carte con sovrana disinvoltura. La Commissione europea si rivela una struttura decisionale insicura se non impotente. L’Italia si sente vagamente vittima, alla fine si accoda ai più forti, ma in fondo è alla deriva”.

Ricordando “la lungimiranza” e “la determinazione” dei politici tedeschi, francesi e italiani del dopoguerra, all’origine di quella “dinamica tra le tre nazioni, che ha distrutto la vecchia Europa e ne costruisce una nuova”, Rusconi afferma che questo “ciclo sembra chiuso o quanto meno irrimediabilmente alterato”.

“Le tre nazioni storiche sono tenute insieme – con un’altra ventina di Stati – da vincoli istituzionali certamente significativi e persino irreversibili. Ma sono tutt’altro che efficaci per affrontare problemi decisivi come l’uso della forza militare, il controllo delle frontiere o le sfere di influenza. Per queste sembra essere restaurata di fatto la vecchia sovranità  nazionale. Ricompaiono le differenze o gli interessi nazionali enfaticamente dichiarati superati”.


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