Un’Opa da tre miliardi per salvare la faccia dell’Azienda Italia
MILANO – Lo spartiacque per il caso Parmalat è oggi. Sul tavolo Italia-Francia, oltre al nodo dell’immigrazione, ci sono più operazioni incrociate che da settimane stressano banche e imprese dei due Paesi. Il dossier Collecchio è il più urgente tra questi, dopo che Giulio Tremonti ha alzato le barricate alla calata in forze della Lactalis, che ha rastrellato il 29% del capitale della società guidata da Enrico Bondi. Ma terrà banco nel bilaterale Roma anche il confronto aperto su Edison: il colosso elettrico Edf sta forzando la mano per prenderne il controllo tramite un accordo con le ex municipalizzate di Brescia e Milano raccolte in A2a. E non si può escludere che premier e ministri dei due paesi discutano anche dell’incursione – finora sventata – di Groupama nel gruppo Ligresti o della posizione ormai scomoda di Vincent Bollorè in Mediobanca, a valle della clamorosa uscita di scena di Cesare Geronzi da Generali. Il primo banco di prova è Parmalat: in base al decreto presentato da Tremonti occorre formalizzare una proposta alternativa a Lactalis entro il 3 maggio. Dunque o in una settimana le banche attive sul dossier – Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Unicredit e Bnl – si accordano con i francesi di Lactalis oppure dovranno correre per mettere a punto un’offerta lampo. Avendo visto come si è speso Tremonti nella vicenda è difficile pensare a una clamorosa retromarcia che si tradurrebbe in un danno di immagine pesante per lui e l’Italia. Non a caso il ministro ha messo in campo la corazzata Cassa depositi e prestiti, guidata da Giovanni Gorno Tempini, che da subito si è impegnata a mettere sul piatto 500 milioni di capitale, in pieno accordo con le Fondazioni azioniste di minoranza. Lo schema iniziale prevedeva che altri 500 milioni li investissero le banche, poi altri 500 un partner industriale alimentare. A questi apporti di “equity” si sarebbero aggiunti 1,5 miliardi di debito erogati dalle stesse banche, per portare il totale munizioni a 3 miliardi, la cifra necessaria a lanciare un’Opa sul 60% del capitale Parmalat flottante a un premio di circa il 25% sul prezzo di Borsa. Tale schema, però, si è inceppato quando gli industriali hanno cominciato a defilarsi. La Ferrero si è mostrata titubante dall’inizio, la Barilla non è mai scesa in campo. La Granarolo delle cooperative aspira a un ruolo primario nell’operazione, ma non dispone di grandi fondi e per ora starà alla finestra, e in un’eventuale intervento tardivo non intende farsi inglobare da Parmalat. Così i banchieri e la Cdp hanno deciso di rimandare le discussioni tecniche sulla valutazione degli asset Granarolo anche se quest’ultima ha posto un aut aut al suo coinvolgimento immediato nell’operazione. Dato che il tempo stringe, l’ipotesi che sembra profilarsi è di far scendere a 1 miliardo la parte di “equity” e innalzare a 2 miliardi la quota di finanziamenti necessari all’Opa, e in un secondo tempo riequilibrare la struttura con l’ingresso dei soci industriali, non limitandosi alla sola Granarolo. Alle porte di Collecchio, infatti, hanno bussato negli ultimi mesi la brasiliana Lacteos, disposta a versare fino a 200 milioni per avviare collaborazioni industriali, e la messicana Lala. Se queste tre realtà apportassero capitali o asset fino a 500 milioni ecco che la struttura iniziale dell’operazione verrebbe riaffermata, in una holding in cui Cdp e banche avrebbero comunque la maggioranza. È un po’ lo stesso schema sperimentato con la Telecom, controllata da una Telco dove sono presenti le banche e la spagnola Telefonica detentrice di una sostanziosa minoranza. Se l’offerta di Latco – questo il nome della holding che dovrebbe lanciare l’Opa su Parmalat – raccoglierà più del 50% del capitale si potrà dire che l’operazione avrà successo, anche se non sono da escludere contromosse da parte di Lactalis, che a sua volta potrebbe lanciare un’Opa totalitaria o una contro Opa, mosse entrambe molto dispendiose per la famiglia proprietaria dei Besnier. Nel caso prendesse piede la trattativa tra i due fronti, invece, potremmo assistere alla nascita di una holding italo francese per il controllo di Parmalat, con pesi e governance tutti da definire.
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