25 aprile 2011
Qui sarebbe ingeneroso paragonare la «cosa» informe e spesso deforme che l’Italia è diventata a fronte delle speranze originarie che la Liberazione aveva suscitato: retorica tante volte prodotta nel corso del tempo, sempre malinconica e in fondo sterile.Maci troviamo, ed è la sensazione che tutti avvertono, alla conclusione di un ciclo lunghissimo, per molti soggettivamente interminabile, durato ormai quasi vent’anni: una fine che non sarà indolore e che potrà assumere risvolti drammatici, aperti ad avventure senza ritorno. Qui il bilancio si può fare, ed è necessariamente impietoso: l’Italia esce dalla «Seconda Repubblica » impoverita e incanaglita, impantanata in un presente eterno e precario, senza alcuno sguardo su un futuro percepibile. Abbiamo un Parlamento che quanto più accampa pretese di onnipotenza tanto più è privo di rappresentatività autentica, composto di nominati, venduti e comprati. Siamo fuorusciti dalla civiltà del proporzionale su cui si era fondata la democrazia repubblicana, abbiamo sostituito i partiti politici con comitati elettorali e più spesso comitati di affari. I cittadini sono ridotti a sudditi che ogni cinque anni possono votare per un caudillo, ma non possono in ogni caso scegliere i propri rappresentanti: i metodi di selezione di questi ultimi sono tristemente noti a tutti, e fanno dell’Italia nel mondo una tragica barzelletta che non diverte più nessuno, anche se è degradante la prostituzione morale e intellettuale, assai più di quella specifica. Se fossimo in presenza della «dittatura di una maggioranza» potremmo discuterne con dotte disquisizioni, da Tocqueville in poi: ma siamo riusciti a inventare il sopruso di una minoranza, che spadroneggia sul resto del paese grazie a leggi elettorali che falsificano il voto dei cittadini, abbattono il principio di eguaglianza, e che non esistono, con tale brutale arroganza, in nessuna parte del mondo. Non siamo più una Repubblica parlamentare: il Parlamento non rappresenta la società italiana, è ridotto a parco buoi che deve votare la fiducia a un governo e le leggi di un potere esecutivo che pretende di assolvere a funzioni legislative e che non accetta più alcuna forma di contrappeso istituzionale. Non esistendo più corpi intermedi, autorevoli e riconosciuti, tutto il peso della dialettica civile in questo paese è da fin troppo tempo ricaduto sulle spalle di istituzioni di garanzia in passato mai discusse, Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale. C’è una banda che ormai si gioca tutto, e che deve la sua sopravvivenza, politica e affaristica, alla occupazione del potere. Andiamo verso lo scontro istituzionale tra un potere abusivo e arrogante e gli organi di garanzia che ancora resistono e che si vuole smantellare. È una partita da cui dipenderà la forma residua della nostra democrazia o lo scivolamento definitivo nell’abisso di una post-democrazia plebiscitaria. In questo quadro – e solo nel quadro di una probabile prova di forza – potrà assumere un ruolo determinante anche la fedeltà repubblicana di tutte le istituzioni, a cui nessuno può chiedere di esorbitare dalle proprie funzioni.Ma dovrebbe contare anche e soprattutto la volontà e la passione dei cittadini, il farsi parte attiva di una resistenza civile che deve significare restituire senso e significato a parole usurpate come libertà , democrazia, diritti, dignità del lavoro: concetti alti e nobili che un tempo il 25 aprile riassumeva in una sintesi ovvia e naturale, e che oggi vanno riconquistati, prima che sia troppo tardi.
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