I cecchini sparano sul funerale: è ancora sangue
L’Onu: “Inchiesta trasparente” Non si ferma la repressione in Siria, nemmeno dopo il “massacro del Venerdì santo”: anche ieri la polizia ha sparato sui manifestanti. Sono almeno dodici, secondo le organizzazioni per i diritti umani, le persone uccise ieri, molte durante i funerali degli altri dimostranti morti nei giorni scorsi. Gli attivisti su Facebook parlano di 112 vittime solo venerdì. Espulso dalle autorità siriane, il corrispondente di Al Jazeera Cal Perry si è trovato in mezzo a un corteo funebre e ha testimoniato direttamente le fucilate della polizia contro la folla. Secondo il gruppo Sawasiah, ci sono state uccisioni a Damasco, nell’hinterland della capitale e vicino al villaggio di Izra’a, nel sud del Paese. Testimonianze raccolte sui social network parlano di cecchini che sparavano sulla folla dai tetti o da auto in corsa a Duma, sobborgo nella parte nord di Damasco, e a Barze, nella periferia. L’opposizione non si è fatta intimidire: ad Harasta, sempre nella parte nord della capitale, si è svolto un grande corteo. Oltre cinquemila persone hanno manifestato contro il regime, nonostante il massiccio schieramento di forze dell’ordine e di agenti dei servizi di sicurezza in borghese. Gli slogan chiedevano le dimissioni del presidente Bashar al Assad: «Bashar te ne vai… e te ne andrai!». Ma il regime sembra intenzionato a tenere duro: la repressione è sempre più forte, nonostante formalmente lo stato d’emergenza sia stato abrogato. Nella notte di venerdì i servizi di sicurezza hanno arrestato Daniel Saud, capo del Comitato per la difesa dei Diritti umani in Siria. Secondo il suo legale, Khalil Maatouk, Saud è stato prelevato dalla sua abitazione a Banias e trasferito in una località segreta. Qualcosa però comincia a incrinarsi: ieri due deputati al Parlamento, Nasser Hariri e Khalil Rifai, originari di Dera’a, si sono dimessi per protesta contro la repressione e l’hanno annunciato in diretta su Al Jazeera. Si è dimesso anche il muftì di Dera’a, Rezq Abdulrahman Abazeid, prima autorità religiosa sunnita a contestare le autorità . «Ai massimi livelli assicurano che non si spara contro i manifestanti, poi constatiamo sul terreno che la verità è diversa», ha detto Abazeid. Il religioso è membro di un clan locale a cui appartengono anche i bambini arrestati alla fine di febbraio perché scrivevano slogan anti-regime sui muri della scuola. Critiche molto dure alla repressione sono arrivate da Barack Obama, che ha definito «vergognoso» l’uso massiccio della forza sui manifestanti. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-moon si è unito alla condanna e ha chiesto «un’inchiesta trasparente» sulle violenze. Anche la Farnesina ha condannato la repressione. Ma Damasco ha respinto le critiche, definendo «irresponsabili» le parole di Obama e rigettando le «accuse infondate», secondo cui la Siria avrebbe chiesto assistenza all’Iran per la repressione interna.
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